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Niente da capire – un racconto illustrato da un’Opera di Valeria Chatterly Rosenkreutz

Creato il 07 luglio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Niente da capire

di Iannozzi Giuseppe

a Valeria Chatterly Rosenkreutz
che mi ha ispirato il racconto

Quello che sento di dover fare, non lo posso dire a chiare lettere.
Oggi si chiude un capitolo, domani ne verrà aperto un altro.
Attribuito a Iannozzi Giuseppe

Prendevo l’erta che m’avrebbe portato… sì, ma dove?

Ero andato a trovare un vecchio poeta, uno che aveva scritto sempre pestando tasti lettere parole pensieri sulla macchina per scrivere. Ma non aveva mai pubblicato niente in vita sua; ed è sicuro che nemmeno da morto una sua poesia sarebbe apparsa sulle pagine d’una disperata antologia a tiratura limitata o a grande dispersione. La fama non gl’avrebbe arriso solo perché morto in solitudine e in aria di santità artistica.

* * *

“Quando me ne andrò, tutti questi fogli finiranno insieme alla spazzatura.”
“Hai mai provato a pubblicare?”
”E perché?”
“Perché? Ma sei matto o cosa? Perché è così che si fa.”
“Voi giovani! Tutti matti. Che vi credete, neanche Dio lo sa. Ma vi credete più grandi d’ogni padreterno in cielo o all’inferno.”
“Pubblicare mica è un delitto? E poi io non mi credo niente.”
“Allora, meglio così.”
“Sì, d’accordo. Ma non mi hai ancora detto perché non hai pubblicato. Sei ancora in tempo. O cerchi forse la fama postuma?”
“Per tutte le code del diavolo! Non cerco un cazzo. Né fama in vita né postuma. Non mi va di pubblicare.”
“Sì, d’accordo.”
”Penserai che sono almeno almeno un po’ svitato.”
“Non ti nascondo che è proprio quel che penso.”
”Pensano tutti che io sia matto o peggio. Sai quanto me ne frega!”
“Continui a non rispondermi. Perché?”
“’Fanculo! Quante poesie leggi? e quante ne scrivi al giorno?”
“Non saprei… Un paio forse le scrivo. Ma non ti so dire quante poesie leggo.”
“E’ questo il punto: tutti scrivono e nessuno legge.”
“Se la metti così, pare tragica.”
“Cosa? La poesia o la situazione?”
“Mi stai facendo rimbambire a forza d’ascoltarti. E io che ti rispondo pure.”
“Il fatto è che la poesia è un cadavere freddo che tutti riesumano. Tutti lo espongono in pubblico: lo tirano a lucido e lo vestono bene… solo capi firmati. E qualcuno gli stacca pure un pompino. E tu credi che un cadavere possa venire? No, quello non viene. Ma a chi lo riesuma piace pensare che il sapore del suo seme gli sia rimasto in bocca. O se preferisci, nell’anima. Niente di più falso.”
“E anche se così fosse?”
”Io non ho cadaveri da riesumare né da esporre in pubblico. Non sono un necrofilo.”
“Allora perché ti ostini a scrivere? Guardati intorno: sei circondato da pile e pile di fogli scritti. Il lavoro d’una vita intera. E quando morirai, per chi avrai scritto? Tutte queste poesie saranno bruciate o dimenticate in qualche soffitta nel più fortunato dei casi. Una vita passata a…”
”…a farmi fottere. Sai che ti dico? Avrei dovuto fottere di più e scrivere solo il testamento in punto di morte. Ma ho sbagliato.”
“Le donne non mi sembra ti siano mancate.”
“Ne avrei avute almeno il doppio se non il triplo. Ma io dovevo scrivere. Scrivere, che assurdità!”
“Non mi sembra che il tempo ti abbia fatto più saggio: continui a scrivere.”
”Alla mia età o scrivi o vai al parco a dare da mangiare ai piccioni. Mi ci vedi a staccarmi una sega? Io no. E poi la penna cerca il calamaio.”
”Credo d’aver capito.”
“Se hai capito davvero, vedi di piantarla con le poesie, e scopa di più. Non c’è bisogno di perdere tempo a scriverle, a leggerle. Non importa quanto sei bravo o incapace.”
”Io non lo so se scrivo bene o male, ma tu – accipicchia! -, tu sei un poeta.”
“’Fanculo!”
“Le ho lette le tue poesie, non tutte, ma le ho lette.”
“’Fanculo di nuovo.”

* * *

Passeggiavo tra gli algidi avelli: m’è sempre piaciuta la pace che si respira nei cimiteri. E ripensavo a quanto il vecchio poeta m’aveva detto. Il vento tirava un po’ e cercava di strapparmi il cappello, ma io lo tenevo ben calcato in testa e lo pinzavo fra le dita quando un colpo troppo forte s’abbatteva addosso alla mia sinistra figura. Presto il vecchio avrebbe avuto il suo posto tra i morti: e forse l’avrei incontrato con una poesia in testa e mai scritta, o più semplicemente con un fiore appassito in mano ma leggendo il suo epitaffio.

* * *

Me ne stavo a letto a fumare la prima sigaretta della giornata ed intanto ammiravo il fondoschiena della donna che mi stava accanto ancora addormentata. Era un bel vedere. Pensai: “Trovo sempre donne che s’infilano nel mio letto. Arrivavamo al punto di offrirmi la loro anima per un po’ di fuoco sacro.” * E sorrisi, mentre la donna al mio fianco apriva i suoi occhi su di me.
“Dormito bene?”
“Dammi le tue chiavi dolci,/ voglio farne una copia,/ voglio scrivere una lunga poesia per le tue braccia.” **
Lei prese a ridere, teneramente: un campanellino legato al collo d’un agnellino era la sua risata.
“Sei andato a trovarlo più quel tuo amico? il poeta?”
“Sono stato da lui pochi giorni fa.”
“E che ti ha detto?” E io la baciai soffocandole quasi la domanda in bocca.
Ci baciammo a lungo, sensualmente.
Ripresi fiato, giusto il tempo d’un attimo, e le risposi: “Di scopare… ”. E presi a masticarle dolcemente il lobo dell’orecchio, poi il collo e più giù ancora.
“Perché?”
Smisi di sbaciucchiarla e morderla, e la guardai dritto negli occhi verdi: “Perché la donna è la miglior poesia che si possa desiderare. Perché la donna è poesia che non si può scrivere. La si può solo amare.”
Lei era calda, lusingata: era anima e corpo. “Ora lasciati amare. Lascia che ti morda ancora un po’.” E tornai a mordicchiarla, a piluccare il suo dolce sapore con l’avidità della mia bocca. Una giovane bruna rosa carnosa era fra le mie labbra.

* * *

Quando tornai a trovare il vecchio scrittore scoprii che non c’era più. Il suo appartamento era spoglio: solo la macchina per scrivere accomodata su una vecchia poltrona scassata, ma dei tanti fogli che aveva scritto non c’era alcuna traccia.

* * *

Lo cercai, ma non troppo disperatamente. Non ho mai saputo se fosse morto o solo si fosse reso invisibile al mondo, invisibile come le sue poesie.

* Riadattamento d’una famosa battuta di Marlon Brando.
** Versi da “Giorno di pioggia” (1974) di Francesco De Gregori.

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