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Paolo Pistoletti - Legni, nota di Rita Pacilio

Da Ellisse

Paolo Pistoletti - Legni, Giuliano Ladolfi EditoreLegni, Giuliano Ladolfi Editore, 2014 è il titolo dell’opera prima di Paolo Pistoletti, silloge intensa e ricca di contenuti poetici i quali mantengono linearità sintattica e una forma logica interna. Pistoletti per mostrare al lettore la sua ‘visione’ del mondo arricchisce i versi di dettagli e di senso. L’esperienza personale si combina a quella filosofica richiamando l’attenzione sulla fugacità dell’esistenza. È per questo motivo che l’autore assottiglia il punto focale dedicandosi agli affetti (figlia, moglie, padre, amico) e ai luoghi che li proteggono, alle cose significative che li circondano, mai separate dalle persone amate. Limpide descrizioni degli oggetti che conservano tempo, origini, anime cristallizzate nei ritmi naturali di chi li ha vissuti, di chi li vive, rivive. Rievocare, quindi, le energie meditative in commoventi passaggi poetici per non far mancare alla poesia la componente riflessiva, di raccoglimento che è il tema più frequente in questo testo in cui la chiarezza emotiva aguzza l’occhio di chi legge lasciando alle cose la necessaria utilità e sopravvivenza. L’autore entra e rientra nella propria casa, nei propri ricordi, e nel rapporto con le persone care, con la stessa anima, con lo stesso sentimento per attribuire a ognuno un’identità materico/esistenziale/lirica. Ogni elemento circostante è essenziale e prezioso per poter affondare le mani nel pudore della poesia, nella proprietà vitale dell’oggetto. In questo modo è possibile ascoltare, percepire le parole invisibili, i dialoghi del mondo inanimato riferendo a noi tutti ciò che si può trovare oltre lo strato superficiale dell’apparenza. L’anima e il senso si fondono: la continua ricerca del ‘possibile’ dà la spiegazione agli interrogativi legati al processo creativo, quesiti che a volte cadono nel vuoto, nella solitudine intellettuale, nell’inaspettata sofferenza fisica. Pistoletti non traduce le pose o la magia dell’immaginario collettivo; nella sua poesia appare e permane, invece, la forza del bisogno di verità del quotidiano in cui le immagini si susseguono con armonia e naturalmente, mentre le parole si aprono e si riaprono generosamente, in modo miracoloso per valicare idee nuove e per risuonare i misteri del reale. (rita pacilio)


Imbronciata

Dal parcheggio alla casa dei nonni

saranno duecento passi. Mi tieni

imbronciata la mano. Sento

che all’abbraccio del sangue sfugge

la luce quando non è nei tuoi occhi.

Lo so che resti accesa

dietro quello sguardo da lupo

e là mi conduci ancora.

Dicono che la retina fissi così per sempre

quelli che arrivano da scie invisibili.

Padre e figlia

   insieme

dovrebbero gridare

strappare a quattro mani le bambole

quando le cose vanno via

non avere pace

non dare senso troppo in fretta

al vuoto perché noi

si sta qui

come chi vede la brace nell’aria.

Legno di casa

Conoscere il legno di casa

gli spacchi le età i cerchi

la traccia della resina.

Chiedersi come mai si muove

senza avere vita,

se la linfa veramente manca

dentro tutta questa povertà

che ti guarda

che ti fa ombra

quando il fuoco avvampa

sulle mura o sul tetto

al fumo della cappa

alla fuliggine delle stelle.

Qui

Siamo stati qui fianco a fianco tutto il giorno
insieme tra i tavoli i fogli e le sedie
nel mentre tutte le nostre cose si lasciavano fare
bene o male da noi, al di là di tutto
al di là del fatto che invece
sotto sotto non c’eravamo affatto.
Ma dopo pranzo ho poggiato davvero la testa
sulla poltrona. Poco prima avevo aperto le finestre
riempito la brocca dell’acqua il vaso dove sta la pianta.
Ma in fondo al cuscino forte e chiaro
poi ho sentito che ci doveva essere dell’altro,
che ancora nessun gesto aveva colmato la misura
quello che si poteva. Qui davanti a casa c’è una grande chiesa
sulle mensole i libri una divina commedia
parole di carta che restano appena
cenni chiusi sulle mani
come lucernari nel buio della mansarda.
Ma poi quando mi volto allora non mi bastano più gli occhi
come in una pagina quando con l’ultima riga non è finita
adesso con te in questa stanza
pare tutto una notte bianca una sete di luce che non passa.

Bosco

Come un bosco è cresciuto mio padre

giorno dopo giorno.

Le radici ora circolano

dove non sono mai stato

nella bocca nera della terra.

Il cuore del legno viene da lontano:

lui qui c’è arrivato prima della guerra.

Ma poi gli anni dai cerchi

dai rami sono passati tutti

per la linea delle mani

e foglia dopo foglia

la linfa nelle vene

ha ripreso la via

della luce che non si vede.

La sera del derby di Milano

un’onda accesa da dentro

l’ha portato via dalla poltrona

come un fiume contromano.

Solo dopo il medico ci ha detto

che c’era nato

con quella voragine nel petto:

e da allora qui intorno

aspetto sempre di sentire il tonfo

la fine di questa fame senza fondo.

Legni

Non mi ricordo più quante volte si muore,

quante stagioni di legni

ci pesano sulle mani

prima di rovesciarci il cuore.

All’ospedale di Careggi c’è il bianco

delle mura che in mezzo ci passa

chi non ce la fa più a stare qua.

Quelli che invece tornano

nelle vene hanno sentito

tutto il risucchio che viene dagli aghi

dal tubo della flebo

fino alla luce del neon

dove a un certo punto

uno non è più niente

tutto lì nel mentre,

tanto che a sorpresa

non avendo più materia

si smette di tremare

senza cassa senza risonanza

la mancanza ricompone tutto

porta a zero la distanza.

Da bambini si arriva ogni volta

al momento giusto

come una bolla al centro del lago,

la memoria poi torna dopo

quando un giorno d’estate

il sole spacca le pietre

e allora si esce.

In corsia si dice che un giro

moltiplicato per sempre sia l’eternità.

Firenze, ospedale di Careggi, reparto di rianimazione, aprile 2001.

Pensare

Alla fine quando sono qui rivedo

la giornata trascorsa

le persone le sedie gli alberi.

Ecco è tutto qui il mio pensare,

come in auto quando dallo specchietto

alle spalle vedi che passa dietro

la strada, e allora lo senti

che a reggerti sulla schiena

è tutto quello scorrere

quel grande fiume di asfalto

e mondo che ti porta

dritto a casa

fin dentro al garage.

Lì dove c’è sempre

una serratura da girare

lì dove in punta di piedi

sottili si passa per quell’unico

punto che conta.

Dentro

Sembrava tutto a posto, poi quello che ci teneva qua

s’è rotto come un coccio. La terra s’è mescolata con la terra.

Capita che si cresca nell’impasto più sottile del dolore.

In un campo non lontano da qui i rom hanno perduto

la loro battaglia accerchiati dal fuoco

un rogo di fiori in mezzo alla notte.

Tanto che alla fine sarebbe stato tutto

tiepido di cenere. Ma si dice che c’è

buio e buio e c’è il fosco più nascosto.

Eppure fino a un certo punto era stato tutto così chiaro

il freddo e il gelo che la sera s’era fatta piccola

nel carro come un fagotto. Che solo dopo

tanta tosse il fumo aveva coperto la paura

la culla di un bambino ladro dentro

una fiamma che ruba. E su tutto puzzo

da scansare oltre l’ombelico come uno zingaro

infilato in un vicolo, colpa come roba normale

un cartoccio di giornale una pagina con un pezzo

sul guadagno del male fatto così bene

con una foto dei fratelli di Abele.

Mentre dopo l’ultima colonna a destra

intanto uno scafo portava un carico

con le spalle girate la sorte verso il futuro.

Paolo Pistoletti è nato nel 1964 a Città di Castello e vive e lavora ad Umbertide in provincia di Perugia. Dopo gli studi in giurisprudenza e in teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali. Dal 2010 cura e conduce un programma di letture e poesia a RadioRCC, proponendo anche testi propri.



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