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Scrivere breve: Il giorno del giudizio

Creato il 09 gennaio 2014 da Faustotazzi
Scrivere breve: Il giorno del giudizio
Millecinquecento-duemila persone, sono poche nell'astratto mare della vita, sono molte nel concreto spazio in cui le persone acquistano un volto e un nome; non sono mille ma uno più uno più uno e così via, e ciascuna deve vivere, vivere per conto suo e nello stesso tempo vivere con l'altro. 
Accadevano in quel rettangolo di terra, sopra quel rettangolo di terra, sotto quel rettangolo di terra non più grande di un fazzoletto, cose arcane, forse le cose invisibili di cui si legge nel Credo, o almeno testimonianze di esse. Nel cielo tersissimo, quanto tutto era pace, usciva dal nulla una nuvola di storni, si librava un istante e poi rientrava nel nulla. Il cagnolino bastardo con il quale ziu Poddanzu parlava come con un cristiano aveva scoperto presso la siepe una lepre che aveva fatto i figlioli. Una biscia aveva attraversato lo spiazzo trascinando il suo lungo treno fino ai piedi di ziu Poddanzu e si era messa a fissarlo con la testolina lucente, lanciando la lingua in rapidi messaggi. Dal fondo della tana, i grilli comunicavano con le stelle. E un pomeriggio di agosto, mentre tutto intorno era silenzio, non una foglia si muoveva, e il carro del sole se ne stava sopra la vigna, ziu Poddanzu e i ragazzi preparavano nella stalla lo strame per i due bovi che pascolavano nella lontana tranchita, quando vedono le loro teste apparire dalla mezza porta, come grandi e tristi mendichi. Zou Poddanzu restò senza fiato. Presto, presto. Fece entrare le bestie, sprangò tutte le porte e le finestre e rimase in attesa. Dopo mezz'ora il diavolo si scatenò sulla campagna, sradicò venti, trenta alberi, levò in aria pecore e cani che erravano in cerca di scampo. Ziu Poddanzu riaprì le porte, e tutto fu come prima. Questa era la vita profonda di Locoi.
Sono venuto qui per vedere se riesco a mettere un po' d'ordine nella mia vita, a riunire i due monconi, a ristabilire il colloquio senza il quale queste pagine non possono continuare. E se io mi fermassi, e mi rivolgessi a quella donna e le dicessi: tu sei la nipote, o la pronipote di Peppedda 'e Maria Iubanna; o a quell'altra: tu sei la nipote o pronipote di Luisa 'e Maria Zoseppa; con matronimico che è il segno della antica comune razza? Come in un negativo che si sviluppa, volti remoti ricompaiono in questi che mi circondano: gente sparita dalla terra e dalla memoria, gente dissolta nel nulla, e che invece si ripete senza saperlo nelle generazioni, in una eternità della specia, di cui non si comprende se sia il trionfo della vita o il trionfo della morte.
Ecco le prime tombe delle famiglie pastorali, con i loro nomignoli diventati nomi e i fieri ritratti in costume negli ovali di smalto, ecco la stele infranta di un giovinetto con una scritta ("tu piangi e io dormo lontan nel campo santo") che angosciava le mie notti, ecco il modesto recinto di ferro che racchiude maestro Manca e gli impedisce di ridiventare Pedduzza (pietruzza) e tornare alla bettola nella quale scivolò sotto il tavolo, ucciso dall'ultimo bicchiere di vino che stava assorbendo. In questo remotissimo angolo di mondo, da tutti ignorato fuori che da me. Eppure essi sono ancora là; da duemila, tremila anni, eprchè la vita non può vincere la morte nè la morte può vincere la vita. Pietro Cante, con Don Pasqualino e Fileddu, Don Sebastiano e ziu Poddanzu, canonico Fele e maestro Ferdinando, i contadini di Sèuna e i pastori di San pietro, i preti, i ladri, i santi, gli oziosi del Corso; tutti in un groviglio inestricabile, qui sotto. Come in una di quelle assurde processioni sfilano, ma senza cori e candelabri, gli uomini della mia gente. Tutti si rivolgono a me, tutti vogliono deporre nelle mie mani il fardello della loro vita, lo storia senza storia del loro essere stati. E forse, mentre penso la loro vita, perchè scrivo la loro vita, mi sentono come un ridicolo dio, che li ha chiamati a raccolta nel giorno del giudizio, per liberarli in eterno della loro memoria.

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