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Serie A: il Grande Torino, una storia lunga 65 anni

Creato il 05 maggio 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Serie A: il Grande Torino, una storia lunga 65 anni   Scritto da Simone Rinaldo Germano  

È passato un altro anno. Sono passati sessantacinque di questi anni dal Grande Torino pluricampione d’Italia

Sessantacinque anni di gioie e dolori, di giovani e vecchi che di generazione in generazione si sono passati il testimone, anzi hanno tramandato una storia.

La storia di undici giocatori, undici uomini che vestivano una maglia color granata. Quegli uomini, mi hanno detto, non conoscevano sconfitta, li chiamavano “Gli Invincibili”, ma si sa: più una stella è luminosa e irradia nel cielo la sua luce abbagliante, più in fretta ella è destinata a spegnersi. Già, il Destino. Questo terribile nemico che si prese le vite dei nostri campioni, in quel tanto famoso incidente di Superga.

Mi hanno detto i loro nomi e i nomi di tutte le persone che con loro ci hanno lasciati. Era il 4 maggio 1949 e il Torino tornava da Lisbona, dopo aver disputato un’amichevole in onore di Ferreira, storico capitano della squadra di casa che, a fine stagione, avrebbe dato l’addio al calcio.

Quella partita fu persa 4-3, tanti furono gli applausi alle due squadre e al beniamino di casa. Sulla strada di ritorno, quando ormai mancava poco alla meta, il pilota annuncia foschia e un po’ di turbolenze. Nulla di così grave di per sé, se non fosse che l’aereo stava sorvolando la collina torinese troppo basso, maledettamente troppo basso. Fu inevitabile e non ci furono sopravvissuti.

Da quel giorno, ogni anno, Torino piange e mi piace pensare che non solo i granata piangano, ma tutti. Ogni anno tifosi e squadra si recano lassù in quella Basilica per ricordare, per raccontare la storia, per tramandare un’eredità importantissima, che, a mio parere, è l’anima di questa squadra ed è ciò che io amo: la sofferenza.

Non però la sofferenza stupida, non il piangersi addosso, ma il fardello, il compito di alzare la testa verso quella lapide, di leggere quei nomi e dire: “Onore a voi, miei campioni. Mai più sarete dimenticati. Il giorno del riscatto arriverà e voi ci guarderete e gioirete assieme a noi.”

Questo è il credo, questa è la sintesi della passione che arde nei cuori di noi tifosi, questo ciò che ci spinge, a testa bassa, a non mollare mai.

Glik, ultimo capitano di una lunga stirpe, a stento trattiene le lacrime mentre legge, come da rituale, i nomi dei caduti. Quelle lacrime, che non scendono per preservare contegno e rispetto, sono il segno, l’impersonificazione dello spirito granata.

Noi non vogliamo per forza vittorie su vittorie, vogliamo undici leoni: gente come noi, disposta a soffrire.

Ieri abbiamo festeggiato gli eroi del popolo granata, sia vecchi che nuovi, con l’augurio a quest’ultimi di imparare da “Gli Invincibili” che cosa voglia dire portare la nostra maglia.

“Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta.

Solo il fato li sconfisse.”

4/5/1949 – 4/5/2014

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