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Slash, Myles Kennedy & the Conspirators: esce World on fire. Recensione.

Creato il 10 novembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

I lavori solisti, si sa, non sempre hanno successo. In qualche caso, però, non solo ce l’hanno, ma portano anche ad un seguito proficuo. È questo il caso di Slash, Myles Kennedy and the Conspirators, trinomio nato dalla collaborazione tra il chitarrista riccioluto e il cantante degli Alter Bridge. Nonostante l’ovvia prominenza di Slash, possiamo ormai considerare questo progetto una vera e propria band, sia per il contributo fondamentale apportato da ogni componente (da non dimenticare “the Conspirators”, Brent Fitz alla batteria, Todd Kerns al basso e Frank Sidoris come touring guitarist) sia per il processo di alchimia iniziato con Apocalyptic Love e continuato in modo deciso in questo World on fire.
Il secondo album di SMK&C si può considerare un passo avanti rispetto al precedente, nonostante sia meno immediato e più difficile da digerire, anche a causa dell’atipica durata (77.24 minuti, per un totale di 17 pezzi). Durante l’ascolto, però, rimane presente una certa sensazione di incompletezza, l’idea vaga che certi spunti si sarebbero potuti sviluppare in modo migliore.
Il compito di aprire le danze è affidato alla title track e primo singolo, World on fire. Ritornello orecchiabile decisamente radio friendly, promette comunque bene per il resto dell’album.
Shadow life, Automatic Overdrive e Wicked stone (quest’ultima con un retrogusto di già sentito che ricorda il passato di Slash e in particolare alle atmosfere di Apocalyptic Love) non spiccano per originalità ma assolvono la funzione di fare da ponte verso 30 years of life, una delle tracce meglio riuscite dell’album, energica al punto giusto e, da ciò che abbiamo visto durante il recente tour americano, anche un gran pezzo live.
Con Bent to Fly prendiamo fiato per qualche minuto, dopo questo inizio d’album decisamente energico. Il testo amaro e crudo è un tocco di classe che arricchisce la composizione musicale. Stone blind è un bel pezzo con un’intro accattivante, perfetta esemplificazione di come artisti validi possano ottenere ottimi risultati anche rimanendo nell’ambito prettamente rock e pur non avventurandosi in eclettiche sperimentazioni (senza nulla togliere a queste ultime).
Too far gone è, a parere di chi scrive, il pezzo più debole del disco, una composizione banale che non riesce a distinguersi nel complesso del lavoro. La lunga Beneath the savage sun, il pezzo successivo, sarà prossimamente la base di un nuovo progetto di Slash, un video girato in collaborazione con l’IFAW (International Fund for Animal Welfare) con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione del bracconaggio, tema del brano.
Withered Delilah, pezzo gradevole ma piuttosto anonimo, non colpisce particolarmente; la successiva Battleground, invece, è uno dei pezzi migliori dell’album sotto ogni punto di vista. Le atmosfere sono vicine a quelle dei Mayfield Four, vecchia band di Kennedy (estremamente sottovalutati all’epoca e tutt’oggi, da ascoltare); per l’ennesima volta ci si rende conto di quanto l’influenza del cantante sia importante all’interno delle dinamiche di composizione di questo lavoro. Non assistiamo ad una leadership assoluta di Slash, cosa che spesso accade in questo tipo di progetti (e cosa che spesso li rovina); quella che stiamo ascoltando è una band a tutti gli effetti, e la cosa non può non piacerci. Ciò non vuol dire che la presenza di Slash non sia fondamentale, anzi: lo notiamo nella seconda parte del pezzo, quando Kennedy ha ormai fatto ampiamente sfoggio delle proprie capacità (sia tecniche che espressive) e dopo un coro accattivante lascia spazio alla chitarra del guitar hero.
Dirty girl ha tutto ciò che serve per essere un’ottima canzone live, con un tocco di anni ’80 che ci ricorda di chi è il nome che campeggia sulla copertina dell’album.
Iris of the storm ci riporta per i primi, brevi istanti a Sweet Child O’ Mine; con un sussulto colpevole ritorniamo a concentrarci sul presente.
Picco della successiva terzina (Avalon, The Dissident e la strumentale Safari Inn) è decisamente The Dissident, forte di un’intro acustica e di un coro che, nonostante tutto, a primo acchito non convince particolarmente. Menzione speciale per il testo, definito da Slash “Myles’s (Kennedy) political statement”.
L’album si chiude con The Unholy, brano di vena epica dal timbro inquietante, degna conclusione di un album con molte luci e qualche ombra. Non un capolavoro, pur sempre un buon risultato. Resta il dubbio che, soprattutto per quanto riguarda alcune tracce, si potesse fare qualcosa di più, eppure la sensazione di delusione è attenuata da una certezza: non possiamo che aspettarci grandi cose dal futuro di questa band. E considerando che stiamo parlando di un chitarrista dall’ormai decennale passato, non è poco.

8/10

Tags:album,alter bridge,brent fitz,frank sidoris,mayfield four,myles kennedy,recensione,review,rock,rock internazionale,slash,slash myles kennedy and the conspirators,the conspirators,todd kerns,world on fire

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