L’ instancabile Mary Poppins ha appena compiuto il suo cinquantesimo Natale. Il film di Robert Stevenson uscì nelle sale statunitensi nel 1964 (in Italia l’ anno successivo) ma, a differenza di quanto possano pensare i suoi affezionati cultori, non fu concepito inizialmente come film natalizio: ebbe infatti la sua prima assoluta nel mese di Agosto. Soltanto l’ Olanda ebbe il buonsenso – o quantomeno la lungimiranza – di proporlo nelle sale a due giorni dal Natale del 1965. Comprendere perché un film del genere si ricolleghi, nell’immaginario europeo, a un clima tradizionalmente natalizio non è impossibile: la commedia musicale, quella che sorride alla vita esautorandola di tutti i suoi mali, esprime appieno le caratteristiche di un Santo Natale che in fondo ormai tanto Santo non è più e che si ricollega a vicinanze familiari e festeggiamenti ora stanchi, ora sinceri.
Dieci anni fa, in occasione del quarantesimo compleanno, la pellicola fu restaurata in digitale. Qualche simpatico aneddoto è saltato fuori quest’anno per la più propizia celebrazione del mezzo secolo. La notizia più curiosa è che Julie Andrews non fu la prima attrice che venne in mente alla produzione per il ruolo di Mary Poppins: al suo posto avrebbe dovuto esserci Bette Davis. Il confronto tra le due è inutile, oltre che inappropriato, perché entrambe hanno giganteggiato nella storia di Hollywood in ruoli completamente differenti. Per le abituali caratteristiche cui hanno abituato, è evidente che il destino abbia offerto una mano al successo dei loro film. Se Bette Davis è stimata dai cinefili “classici” come la regina assoluta nella storia della settima arte americana, è evidente che Julie Andrews ha rappresentato un fenomeno unico più che raro nella produzione mondiale che ha trascinato la commedia hollywoodiana (non solo musicale) fuori dai suoi canoni classici. Il suo talento è insuperabile, perché ancora oggi si presenta come una delle poche attrici nella storia del cinema capace di saper recitare e cantare contemporaneamente con una qualità espressiva e canora assicurata sempre su altissimi livelli: si pensi non solo a Mary Poppins, ma anche al famosissimo Tutti insieme appassionatamente per la quale fu ingaggiata l’anno successivo. Nulla togliendo a Tina Centi, esimia doppiatrice canora di Julie Andrews (che nei dialoghi era invece doppiata da Maria Pia di Meo), la ex consorte di Blake Edwards meriterebbe di essere ascoltata con la sua voce.
Insomma, il successo cinquantenario della pellicola è dovuto in gran parte al suo carismatico protagonista femminile: showgirl, attrice, cantante, penetrante oltre lo schermo, discussa come feticcio, bonariamente invidiata per talento, osannata e addirittura presa a icona dalla cultura omosessuale.
Perché allora Mary Poppins non fu concepito come film natalizio?
Perché Hollywood traboccava di commedie musicali, e in questo senso Mary Poppins non fu una novità. A metà anni ’60 il grande Musical per eccellenza intriso del sogno americano volgeva già verso il tramonto, ma per quasi un trentennio aveva regalato al mondo i capolavori di Stanley Donen e Vincent Minnelli, o quelli meno impegnati e più leggiadri dove Fred Astaire e Ginger Rogers ballavano alla stessa maniera nella quale una coppia fa l’ amore. Il sogno americano utilizzava la forma del Musical per esprimersi anche nei suoi connotati più nostalgici, perché gioie e malinconie rimavano.
Film per eccellenza della tradizione natalizia statunitense, per andare lontano e sorvolare gli ultimi e più noti, sono Il miracolo della 34esima Strada di George Seaton (1947) che ha avuto un fortunato e omonimo remake, Arriva John Doe! di Frank Capra e soprattutto La vita è meravigliosa, capolavoro indimenticabile e film di Natale per eccellenza nella storia del cinema, nonché parabola morale (e non moralista) di straordinario ritmo e vivacità sull’importanza di affermare la propria esistenza ogni oltre travaglio. Accusato superficialmente di buonismo, il film di Capra seppe invece vincere le resistenze del tempo mostrandosi superiore a ogni ridicolo attacco, una caratteristica tipica di tutta la commedia del suo autore.
Chi ha vissuto le stagioni cinematografiche italiane dell’ultimo decennio sa che la tradizione italiana è andata a impantanarsi nella voragine del cinepanettone, fenomeno che ha spopolato e che pure meriterebbe, al di là delle singole valutazioni, un approfondimento storico tutt’altro che secondario. Tuttavia, è necessario tuttavia sorvolare sui suoi meriti e demeriti artistici, ammesso che ve ne siano.
Un eccellente film (anti)natalizio, marginale e italiano a 18 carati è targati Pupi Avati, grande e sottostimato regista di casa nostra. Regalo di Natale (1986) è un’opera contro-natalizia per spirito, ambientazione e dialoghi: si presentò come scommessa e azzardo contro lo sciroppo troppo dolce degli altri film durante le festività di fine anno.
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