La Bruja
Juan Sebastián Verón (La Plata, 9 marzo 1975) eredita dal padre Juan Ramon il soprannome, La Bruja, ovvero Strega, oltre al talento.
A soli 18 anni Veron abbandona gli studi e inizia la carriera professionistica con i biancorossi dell’Estudiantes, stessa squadra del padre. Gioca due stagioni nella Primera Division, una in seconda divisione e poi passa al Boca Juniors.
Nel 1996 debutta con la maglia albiceleste della sua nazionale e impressiona uno degli allenatori più apprezzati dal calcio italiano degli anni ’90, Sven Goran Eriksson, che decide di portarlo a Genova, sponda Sampdoria. Nel campionato italiano si ambienta subito e con i blucerchiati arriva al sesto posto, guadagnandosi l’Europa. Le sue giocate illuminano i due talenti dell’attacco sampdoriano: Mancini e Montella, ma servono anche a spezzare il gioco degli avversari. Rimane solo due stagioni a Genova, poi si trasferisce a Parma, per un solo anno, ma tanto gli basta per vincere una Coppa Italia e una coppa Uefa.
Dopo l’intenso anno con i gialloblu, viene acquistato dalla Lazio di Cragnotti, ritrova il suo stimatore svedese, Eriksson. A Roma in due stagioni vince la Coppa Italia, la Supercoppa Uefa, la Supercoppa italiana, la coppa Uefa, lo scudetto e, come se non bastasse, European Sports Magazines lo inserisce nella lista dei titolari della squadra ideale. Con la Lazio disputerà solo due stagioni, ricche di trofei e soddisfazioni personali, come il gol decisivo segnato nel derby. Sicuramente non gli è mi mancato l’affetto del pubblico dei tifosi biancocelesti, tanto che nel 2012 il Sindaco Alemanno gli ha conferito il premio “Lazialità”, proprio per dimostrare la riconoscenza verso il campione.
La Bruja nel 2001 spicca il volo verso la terra d’Albione, precisamente si trasferisce al Manchester United. Vince il campionato durante la seconda stagione. Neppure l’approccio in Premiership frena la disinvoltura e le giocate di Veron, che si trova a suo agio anche nel campionato inglese, nominato giocatore del mese nel settembre 2001. Con i Red Devils gioca titolare e ingolosisce i dirigenti del Chelsea che, nel 2003, decidono di ingaggiarlo. Con i Blues giocherà poche partite, non lascia il segno e decide di tornare in Italia, questa volta all’Inter. Alla corte di Moratti ritrova la continuità e dalla cabina di regia guida i nerazzurri alla vittoria di due Coppe Italia e una Supercoppa italiana. Durante il periodo nerazzurro Veron verrà inserito da Pelè nella classifica FIFA 100, tra i più forti calciatori viventi e nel 2006, oltre ad essere considerato il più rappresentativo del suo Paese, viene nominato calciatore sudamericano dell’anno, l’equivalente del pallone d’oro europeo. La sentenza di Calciopoli lo arricchirà anche del secondo scudetto italiano.
Nel 2006 torna al suo primo amore, la squadra della sua città natale, l’Estudiantes e ci rimarrà fino al 2012. Con i biancorossi vince l’Apertura del 2006, a titolo personale ha l’onore di essere inserito per tre volte di seguito, rispettivamente dal 2008 al 2010, nella lista dei giocatori della squadra ideale del Sud America. Riceve per la seconda volta, nel 2009, la nomina di miglior calciatore argentino e viene incoronato miglior calciatore sudamericano nel 2008 e 2009, anno in cui vince la sua unica Libertadores. Nel 2010 si aggiudica la seconda Apertura con l’Estudiantes e chiude la carriera da professionista nel 2012, a causa di un infortunio duraturo alla caviglia destra, oltre ai soliti problemi che, con più o meno intensità, l’hanno afflitto al ginocchio destro, molto spesso segnato da una fasciatura bianca ben visibile, già dai tempi in cui giocava con la Lazio.
Dopo pochi mesi dal suo addio al calcio, si rimette in discussione con la squadra del Brandsen, in quinta divisione, dove si aggiudica il campionato, nonostante ricopra ufficialmente il ruolo di dirigente dell’Estudiantes. Unici trofei mancanti nel palmares di Veron sono un buon piazzamento con la nazionale argentina in una Copa America o meglio ancora Mondiale e la finale del Mondiale per club, ex Coppa Intercontinentale, che il padre invece vinse contro il Manchester United, segnando addirittura in Inghilterra.
Comunque nel caso di Juan Sebastian non si può parlare certo di sudditanza o complesso di inferiorità rispetto alla carriera del padre, ha collezionato “più medaglie dei generali russi” e un po’ ricordava un generale in campo, magari per il temperamento o gli urli che rivolgeva ai compagni per istruirli sui movimenti da eseguire, per il pizzetto e la testa rasata. Nonostante fosse abbastanza longilineo anche nello scontro fisico dava filo da torcere agli avversari, dimostrandosi molto aspro, un po’ come i tiri violenti che saettava da fuori area che spesso gli hanno regalato la gioia di un gol, o perlomeno la soddisfazione di bruciare le mani dei portieri.