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Da Tinynoemi
torino è una città stilosa. non me l'aspettavo. ha l'aria vintage, porticati eleganti, ampi spazi e cinemafood. io un cinema food non l'avevo mai visto, prima di torino. lì, nella città della mole, ci sono andata con la testa che rimbombava ancora di vuoto e questa volta non ho cercato di riempirlo. ho fatto quello che dovevo fare. ho sorriso, ho parlato, ho lavorato, ho passeggiato, ho conferenzato. ho fatto tutto quello che dovevo fare. lì, nella città dei re, il gigante buono mi osservava a distanza fare tutto e solo essendoci mi responsabilizzava. perchè noi abbiamo la responsabilità di vivere bene e provarci davvero ad essere felici. se qualcuno ci ama, noi abbiamo il dovere di amarci a nostra volta. questo a torino l'ho pensato. eravamo lì, tre mondi in sintonia, seduti sul lungo fiume a fare giochi da bambini, stanchi dopo una giornata piena di tensioni, con ancora l'adrenalina dei dibattiti seri, quelli che ti fanno pensare al futuro come ad una montagna immensa, troppo difficile da scalare. quei dibattiti da professoroni che ti confondono la morale e ti fanno pensare che c'è sempre qualcosa di troppo o di troppo poco perchè il futuro sia possibile. ma noi eravamo lì, con quella stanchezza che ti pesa sulla pelle, ma con la voglia di non farla finire comunque quella giornata. quando il futuro pesa il presente vuole allungarsi, credo sia così che succeda. e quindi noi eravamo lì, rubando l'equilibrio perduto all'eleganza della città, nascondendo i discorsi seri tra gli incisi di giochi verbali, leggeri e deliranti. ed io ho pensato questa cosa qui. ho pensato a tante cose, in verità, ma questa mi è rimasta impressa: se è vero che dobbiamo qualcosa all'infante che siamo stati lo dobbiamo anche a chi vuole fare la strada con la versione adulta di noi. è bello avere dei compagni di viaggio, bisogna averne cura. ma per farlo devi imparare cos'è la cura vera. e la cura vera parte da sè. se io mi voglio bene, ma bene per davvero, avrò qualcosa da condividere, qualcosa da rubare e farmi rubare. se non raccolgo vita non avrò vita da condividere. io tutte queste qui, non le ho imparate a torino, ma a torino, con la testa vuota e quella stanchezza piacevole di quando vivi tanto, troppo, le ho pensate molto lucidamente. io voglio che le persone a cui tengo siano molto felici. ma non lo voglio così, come si può volere un caffè o la pace nel mondo. il lo voglio proprio seriamente, come quando si vuole qualcosa e nient'altro. infondo credo sia un loro dovere ed un mio diritto. non è che io lo pretenda, intendiamoci, ma credo che per il bene che voglio loro mi debba essere concesso richiedere un po' di cautela per se stessi. chi sa se esiste un'assicurazione per l'amore! lì a torino, cantando canzoni stonate con il mio amichetto e straziando di passeggiate il gigante buono ho pensato che non posso pretendere di rendere felici tutti quelli che amo, ma posso chiedere loro di rendersi felici per me. giochi di dipendenze affettive che garantiscano tentativi di felicità. è una cosa che mi tranquillizza pensare che possa esistere una specie di patto, di impegno all'autorealizzazione emotiva. l'ho pensato in generale, ma ho sorriso pensando al mio particolare. io ora voglio solo che sia felice, il mio particolare. e lo voglio per davvero, anche senza esserci in quella felicità. non mi interessa più essere la protagonista. e non per sottrazione, ma per addizione, come nella serie di fibonacci. credo si possa chiedere una cosa del genere. una specie di regalo d'addio. io ti lascio andare e tu ti impegni, nella buona e nella cattiva sorte, a renderti felice. ma veramente, profondamente.
forse è questo il senso.

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