10 anni di Neuroetica: un corso estivo per approfondire

Creato il 11 giugno 2012 da Uccronline

«Con questo articolo diamo avvio alla collaborazione con Alberto Carrara LC, scienziato, filosofo e neurobioeticista, professore assistente presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, tecnico di laboratorio chimico-biologico (1999) e dottore in Biotecnologie mediche presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Padova (2004). Dal 2009 è membro del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica dell’Ateneo Regina Apostolorum, dal 2010 è membro della International Neuroethics Society e collabora con altre istituzioni accademiche, tra cui la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani con sede a Roma»

di Alberto Carrara*
*biotecnologo e neuroeticista

Molti sono gli anniversari che si festeggeranno nel 2012. Uno di questi riguarda il 10° anniversario della “nascita” della neuroetica. Di cosa si tratta? Cosa si intende con questo neologismo? L’applicazione sempre più rapida ed immediata all’uomo delle scoperte neuroscientifiche, frutto dell’abbondante ricerca che mira a decifrare i misteri del cervello e della mente umana, ha fatto sorgere nell’opinione pubblica sentimenti spesso antitetici.

In quasi tutti i contesti socio-culturali, il suffisso “neuro” sta trovando largo impiego e successo per le finalità più svariate: dal vendere (neuro-marketing) al convincere (neuro-freedom). Si parla già di neuro-mania, neuro-fobia e di neuro-filia. Le immagini di risonanza magnetica fanno già parte della nostra cultura quotidiana: termini come PET (tomografia ad emissione di positroni) o risonanza magnetica funzionale (fRMN) sono parte integrante della nostra memoria, li abbiamo uditi ed ascoltati ripetutamente per radio, in televisione, li abbiamo letti su Internet nelle circostanze più disparate.

Il termine neuroetica appare nella letteratura scientifica sin dal 1989 in un contesto prettamente bioetico riguardante le decisioni sul fine vita. È il neurologo R. E. Cranford che in un articolo scientifico del 1989 utilizza l’accezione “neuroeticista” sancendo l’ingresso dei neurologi all’interno dei comitati etici ospedalieri [1]. In ambito filosofico, questo neologismo entra in scena per la prima volta nella discussione circa le prospettive filosofiche riguardanti il sé (Self) e il suo legame-rapporto col cervello. È la filosofa P. S. Churchland ad affrontare le “neuroethical questions” in una sua conferenza a fine novembre del 1990 [2].

Nonostante il concetto neuroetica fosse già ventilato in diversi ambiti del sapere, la “paternità” del neologismo viene attribuita storicamente alla prima definizione “canonica” risalente al maggio 2002. In questa data, a San Francisco (USA), si tenne il primo congresso mondiale di esperti intitolato: “Neuroethics: mapping the field”. In tale contesto, William Safire, politologo del New York Times recentemente scomparso, suggerì la seguente definizione contemporanea di neuroetica definendola: quella parte della bioetica che si interessa di stabilire ciò che è lecito, cioè, ciò che si può fare, rispetto alla terapia e al miglioramento delle funzioni cerebrali, così come si interessa di valutare le diverse forme di interventi e manipolazioni, spesso preoccupanti, compiuti sul cervello umano [3].

È il 2002 che si considera l’anno fondativo della neuroetica e gli atti delle conferenze di San Francisco segnano la nascita di questa nuova disciplina e ne sono l’emblema e il punto di riferimento privilegiato. Numerosi in tutto il mondo sono i raduni, le conferenze, le tavole-rotonde che proliferano attorno alle tematiche neuroetiche. Una in particolare attrae l’attenzione di molti esperti: quella relativa alla libertà umana. Sin dai tempi più remoti, il tema del libero arbitrio ha coinvolto l’interesse dei migliori pensatori. Oggigiorno, mentre da una parte vengono confermati i risultati neuroscientifici condotti, sin dagli anni settanta, da Benjamin Libet [4], dall’altra si diffonde un clima scettico relativo alla nostra libertà d’azione.

Alcuni neuroscienziati arrivano a concludere che questa peculiarità dell’essere umano, altro non sarebbe che una mera illusione funzionale, frutto dell’ingegno evolutivo del nostro cervello. La problematica è notevole: siamo davvero esseri dotati di coscienza e libertà, o automi in balia di uno stretto determinismo neurobiologico? Proprio su questa tematica porrò la mia attenzione con alcune conferenze durante il corso estivo internazionale di alto perfezionamento, dedicato alla neurobioetica che dal 2 al 13 luglio 2012 si terrà presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, in collaborazione con il Gruppo di Neurobioetica e la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (www.uprait.org).

La finalità sarà quella di offrire a professionisti e studiosi provenienti dai vari ambiti, una metodologia di  approccio pluri e interdisciplinare alle questioni etiche delle Neuroscienze e alle Neuroscienze dell’etica. Favorire il confronto e il dibattito interno sugli argomenti di maggior rilievo, avvalendosi di un’analisi approfondita e critica dei dati neuroscientifici. Integrare tale metodologia con l’apporto dei fondamenti filosofici e antropologici, secondo una visione personalista. In ultimo, ricercare forme di “integrazione” dei saperi e delle loro applicazioni, essendo ciascuna Persona “una unità e una totalità di dimensioni biologiche, psicologiche, sociali spirituali”, anche quando fragile, malata o prossima alla morte naturale.

Inoltre, in occasione del 10° anniversario della nascita della neuroetica, offrirò presso la Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Regina Apostolorum durante il primo semestre dell’anno accademico 2012-2013, un corso su: Coscienza e libertà tra filosofia e neuroscienze. A mio avviso, per una corretta valutazione delle interpretazioni neuroscientifiche, la tradizione filosofica che in Tommaso d’Aquino trova uno dei massimi sintetizzatori, potrebbe contribuire a fornire alcuni concetti e chiavi di lettura che contribuirebbero a rasserenare e a rendere più realistiche certe conclusioni ed inferenze. L’antropologia tommasiana unitiva ed integrativa, potrebbe costituire un valido fondamento neuroetico per evitare tanto il dualismo cartesiano, quanto un monismo cerebrale unitotalizzante.

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Note
[1]. Cf. R.E. Cranford, «The Neurologist as Ethics Consultant and as a Member of the Institutional Ethics Committee. The Neuroethicist», Neurologic Clinics 7 (1989), 697-713
[2]. Cf. P.S. Churchland, «Our brain, our selves – Reflections on neuroethical questions», in: D.J. Roy – B.E. Winne – R.W. Old (a cura di),  Bioscience-Society: Report of the Schering Workshop, Berlin 1990, November 25-30, Wiley and Sons, New York 1991, 77-96
[3]. Cf. W. Safire, «Visions for a new field of “neuroethics”», in: S. Marcus (ed.), Neuroethics: Mapping the Field. Conference Proceedings, Dana Press, New York 2002, 3-9.
[4]. Benjamin Libet, Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action, in «Behavioral and Brain Sciences», volume 8, pp. 529-566


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