Non la faccio lunga: stanno uscendo, più o meno dagli inizi degli anni dieci, centinaia di dischi bellissimi ogni anno. Visto che l’anno scorso ho fatto una fatica cane ad appuntarmeli e soprattutto ascoltarmeli tutti, quest’anno ho deciso di fare sul serio dall’inizio. Indi poscia a prescindere onde per cui la quale, di tanto in tanto vi sbatterò qui 10 dischi del 2014 che vale la pena di ascoltare, anticipati da una introduzione di tre righe (letteralmente) all’ascolto. E ora foho alle micce, golosoni.
Liars – Mess
Che i Liars stessero virando prepotentemente sull’elettronica era chiaro a tutti, ma che trasformassero con successo i loro baccanali entropici in Rave-Punk era un auspicio oggi realizzato. Una band immensa e che sfida sempre se stessa, rara se non unica, oggi.
Metronomy – Love Letters
I Metronomy sono il pop che vorrei sempre sentire alla radio. Se il mondo ascoltasse dischi di consumo del genere probabilmente non saremmo con le pezze al culo. Spruzzatine di Love & Arthur Lee qua e là li rendono addirittura strepitosi.
Mac De Marco – Salad Days
Ok, non saremo forse ai livelli di “II”, ma ragazzi, che disco. Ritroviamo lo svitato e geniale Mac De Marco più maturo, versatile e consapevole dei propri mezzi, alle prese con una evoluzione interessante nell’atto di compiersi. Il prossimo disco ci dirà chi è davvero.
Angel Olsen – Burn Your Fire For No Withness
Tra PJ Harvey e Sibylle Baier, il secondo album di Angel Olsen non ha difetti e ha tanti vertici. Uno dei miei dischi dell’anno (posso dirlo con un certo anticipo), anche se a volte sembra lo stesso disco di Marissa Nadler (e per me non sarà mai un difetto).
Sun Kill Moon – Benji
Non mi soprenderei di vedere il nuovo capitolo dell’iperattivo ex Red House Painters Mark Kozelek al primo posto di tante classifiche annuali di fine anno. Raramente l’intimità di un cantautore era stata lanciata così poeticamente nella sfera estetica. Capolavoro.
Pontiak – Innocence
I tre fratelli tornano col solito rimorchio di riff martellanti. Ad assisterli una manciata di ballate coinvolgenti, che esplicitano il lato più sofisticato dello stoner rock. Non il loro miglior disco, piuttosto l’ennesimo capitolo di una grande saga familiare.
Current 93 – I’m The Last Of All The Field That Fell
Disco un po’ bistrattato dai media internazionali, il nuovo disco di David Tibet si pone nel solco dell’inquietudine enigmatica dei suoi dipinti, con il minimalismo acutissimo di una delle menti più frenetiche e turbolente dell’underground.
Cheatahs – Cheatahs
Nonostante alcuni sprazzi acerbi e per niente epici, il disco dei Cheatahs è un sentito omaggio ai My Bloody Valentine. Assai meno ruvidi di quest’ultimi, mischiano shoegaze e brit-pop, e quest’ultimo dato costituisce il loro grande merito e il loro piccolo difetto.
Have A Nice Life – The Unnatural World
Dopo il clamoroso “Deathconsciousness”, uno dei migliori dischi degli anni zero senza se e senza ma, gli Have A Nice Life tornano con il loro gothic rock straniante e mutante, stavolta con meno pretese ma assestandosi sempre su grandissimi livelli.
David Crosby – Croz
Il grande ritorno dell’autore di “If I Could Only Remember My Name” (yes we can) è sorprendente. Disco serenamente inquieto di un uomo che pare aver finalmente trovato il proprio centro dopo una vita a dir poco turbolenta tra droghe, carcere e apatia.