da qui
Dalla barca si comprende bene la complessità del mondo: lo stato liquido, la fluidità di pensieri e sentimenti cullati nel ritmo ipnotico della risacca, ma anche le tempeste improvvise e imprevedibili, che spazzano all’istante la costruzione paziente di una vita. Poi, la spiaggia umida, protetta da muretti in pietra per difendersi dalla rabbia delle onde; la sabbia scivola inesorabilmente tra le mani: sono le relazioni frettolose, interessate, i piaceri effimeri le cui tracce si perdono nel nulla; gli amici trascurati, i libri mai letti, l’amante di una notte. Più in là, una cintura di palme e sicomori, le case dalle serrande verdi e le pareti bianche, il cane che abbaia al nemico invisibile per il suo padrone: è la fascia delle cose a cui teniamo, assicurate dall’avidità e dall’invadenza, coltivate con l’attenzione scrupolosa di muratori e giardinieri. Sullo sfondo, infine, la montagna brulla, picchiettata di rocce e di cespugli, ultimo confine tra la terra e il cielo, fra Dio e l’uomo: è la struttura che regge tutto il resto, contemplando dall’alto il fluire dell’acqua, il franare della sabbia, l’ondeggiare delle foglie e il crepitare impercettibile dei muri. Yaacov e Yoh’anan, Andreas e Shime’on sono nel cuore liquido del mondo, ancora disponibili ad accogliere il messaggio nascosto in ogni strato della vita; ora scendono nell’acqua che li raggiunge alla cintola e cominciano a tirare con forza la rete pesante come mai. Alzano gli occhi in direzione della sabbia, degli alberi, della montagna brulla sullo sfondo: sotto una palma c’è un uomo coi capelli lunghi che calano in disordine, il pizzo rado, le labbra aperte come se pronunciasse una parola.