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Pena di morte sì o no? Il dibattito resta sempre aperto, soprattutto quando la cronaca di casa nostra e non, continua ad elencare e tenere sotto i riflettori, senza tregua, omicidi assurdi e ai più inimmaginabili. Omicidi che fanno vacillare, a volte, anche gli attivisti più convinti e da sempre in prima linea contro la pena di morte. Da sette anni però, organizzazioni pubbliche e private, istituzioni e singoli cittadini lottano audacemente per l’abolizione della pena di morte. Perché la vita è un diritto inalienabile, riconosciuto nell'articolo 3 della Dichiarazione universale del 1948, ed è disumano e assassino, toglierla pensando di insegnare qualcosa o fare giustizia. Dal 2003 la Coalizione mondiale contro la pena di morte ha scelto il 10 ottobre come Giornata mondiale contro la pena di morte. Quest’anno la giornata è stata dedicata alla pena capitale negli Usa. Qui le esecuzioni capitali sono riprese nel 1977 e da quel momento sono state uccise più di 1200 persone in 35 stati e sotto la giurisdizione federale. Tra il 2000 e il 2009 la media annua delle esecuzioni è stata di 59, purtroppo sono numerosi i paesi che giustificano il proprio operato prendendo d’esempio gli Usa come stato che utilizza in maniera efficace e giusta la pena di morte. In tutto il nostro paese il 10 ottobre il dissenso contro il boia si è manifestato con rappresentazioni teatrali, cinematografiche e artistiche che termineranno il 30 novembre con l'illuminazione del colosseo insieme ad altri monumenti e palazzi storici in mille città. Amnesty International ha lanciato, in quest'occasione, gli appelli per due condannati afroamericani: Troy Davis, da vent'anni rinchiuso nel braccio della morte per un crimine di cui non si è mai dichiarato colpevole e Reggie Clemons, vittima dei vizi e difetti del sistema penale statunitense. Secondo il rapporto di Amnesty International in 139 paesi la pena di morte è stata abolita, in teoria o in pratica e sono ancora 58 i paesi che mantengono l'esecuzione capitale formalmente attiva, tra questi in cima alla lista Iran, Stati Uniti e Cina, da cui non si hanno nemmeno dati sicuri. Ad oggi, sono 3200 i prigionieri in attesa di essere “giustiziati” e dall’inizio dell’anno già 41 hanno perso la vita. La maggior parte in Texas, Virginia, Oklahoma. “Un Paese che rivendica la sua leadership mondiale – ha spiegato Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International – deve essere coerente nel rispetto dei diritti umani. Gli Usa sono un paese essenziale nella lotta alla pena di morte, perchè se decideranno di abolirla, influenzeranno altri venti paesi.”
© Alessia Arcolaci(Confronti)
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