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11 febbraio 2011 – missione compiuta

Creato il 11 febbraio 2011 da Soniaserravalli

SUL FILO DEL RASOIO – Prima parte della giornata

Siamo di nuovo letteralmente travolti dalle notizie.

Da giorni ci si aspetta una presa di posizione dell’esercito, dalla parte del popolo o del regime, e questa è la chiave di tutta l’esperienza che stiamo attraversando. Attorno a questo passo ruota il resto del mondo coinvolto, dall’interno e dall’esterno.

Questa mattina si parlava dello sdegno per il discorso vuoto di Mubarak e del suo Vice ieri sera, e c’è stato un articolo esauriente su questo su Repubblica. Le parole del rais sembravano dirette a un pubblico di bambini idioti. Li ha intimati a tornare a casa, a smettere di guardate le TV straniere trattandoli come se fossero tutti vittime di una manipolazione dall’estero. Come se tutto quello che gli stanno urlando da giorni non avesse alcun senso. Come se questa rivoluzione non nascesse da esigenze tangibili, comprovabili, evidenti al mondo e interne alla popolazione egiziana.

Adesso è pomeriggio, ho scordato di pranzare ed escono notizie nuove: Mubarak ora sarebbe nel suo palazzo a Sharm El Sheikh, ci sono già foto della folla e della security nella città del Sinai, e si aspetta un ulteriore suo discorso a minuti (Ndr. parlerà poi O. Suleiman). Chissà cos’avrà ancora da dire.

Mi immagino Obama a chiamarlo ogni singolo giorno per invitarlo a fare il bravo, e lui, come un vecchio nonno patriarca e amnesico, decidere all’ultimo momento di ingannare tutti e di puntare i piedi, di fare i capricci in faccia a mezzo pianeta.

Suleiman tra le altre cose ieri sera ha detto che l’Emergency Law (Legge sullo stato d’emergenza) verrà sospesa solo una volta che si sia tornati alla vita normale (come se quella di prima fosse una vita umanamente normale). Anche per questo la rivoluzione era una strada senza ritorno. La gente è recalcitrante a tornare a casa per la paura di venire immediatamente perseguitati – perché quella legge non la eliminerebbero finché non avranno portato a termine la loro tradizionale pulizia. Dal lato suo, il rais potrebbe aver paura di essere lui quello che se ne va, perché dimessa la carica credo che verrebbe presto incriminato per le infamie degli ultimi giorni. Il suo modo di parlare era davvero estraniato dalla realtà, preoccupantemente anaffettivo, privo di ogni reazione emotiva anche davanti allo “tsunami politico” (espressione di un giornalista arabo) e di milioni di persone urlanti che agitano le scarpe contro di lui – atto che ho scoperto essere altamente offensivo nel mondo arabo. Quanto alle forze armate, pare che anche al loro interno si stia creando una spaccatura che le divide in due.

Mentre vari blogger hanno creato un collegamento tra le immagini di questa rivoluzione e Piazza Tienanmen, noi speriamo di non rivederne una copia, e che la storia sia costruita su una scala che sale e non incastrata su un cerchio.

Scontri ad Al Arish tra poliziotti e manifestanti poco fa (pomeriggio).

I manifestanti del Cairo si sono recati in massa anche davanti al palazzo presidenziale e oggi perfino attorno agli edifici della TV di Stato per dimostrare la loro pressione, ancora in maniera pacifica. I giornalisti del regime con le loro notizie da Corea del Nord sono bloccati.

Da Dahab e da altri luoghi simili, anziché osservare la richiesta di Suleiman di rientrare a casa e di tornarsene buoni buoni a lavorare, mancando i turisti e non essendoci seriamente nulla da fare se non seguire gli eventi, molti egiziani stanno partendo per unirsi ai dimostranti al Cairo. Dunque, è un serpente che si morde la coda. Il Governo spera che il popolo si esaurisca (non avendo più accesso al lavoro e al denaro liquido a causa del caos, di luoghi pubblici chiusi e degli scioperi scelti dalla gente), mentre il popolo alle manifestazioni aumenta, ora anche in altre città, proprio perché il lavoro non c’è più, e non c’è davvero nient’altro da fare se non andare in piazza o guardare la TV. Per questo motivo, ho scelto di spendere il mio tempo di questi giorni a fuoco scrivendo questo blog. In un momento in cui tutto quello che gli egiziani fanno è un atto di volontariato, quando non di sacrificio, metto al servizio del lettore la mia voce, perché non c’è altro che io possa fare che conti qualcosa.

Ieri sera dopo il discorso in Tahrir c’è gente che ha pianto e altri che hanno vagato per ore guardando per terra. Ora per chissà quale strana alchimia – o utopia – sembra di nuovo aleggiare nell’aria una qualche nuova speranza insensata. Come ha detto un giornalista americano oggi, in Egitto in questi giorni sembra di vivere sulle montagne russe. Ho perso il conto dei momenti di euforia e dei momenti di abbattimento – e non li prevedi mai quando incominciano o si danno il cambio.

Da ieri sera circola anche un video musicale in arabo girato in questi giorni al Cairo, la cui canzone parla dei manifestanti che scendono in strada per non tornare più indietro.

LA LIBERAZIONE – Sera

E’ SUCCESSO.

L’EGITTO E’ LIBERO.

IL SOGNO SI E’ REALIZZATO.

GLI EGIZIANI HANNO UCCISO IL PADRE/ASSASSINO.

IL POPOLO HA VINTO.

Non potevo credere alle parole di Suleiman, credevo di aver capito male. E insieme a me, milioni di persone che nella piazza del mondo per qualche secondo sono rimaste mute, basite, in sospensione. Visto il difficile momento che sta attraversando il Paese, il Presidente Mubarak ha deciso di dimettersi. Militari al potere – come da volontà popolare. Ho messo una mano sulla bocca e mi è mancato il fiato. Mi sono seduta, ho iniziato a piangere e non ho smesso per dieci minuti, ridendo tra le lacrime, non capivo più niente. Mi sembrava mi avessero tolto un peso di 50 chili dalle spalle, che negli ultimi giorni si erano fatte di metallo.

Ho sentito il fardello di migliaia di anime sollevarsi in un secondo.

Ho dovuto spalancare la porta e l’ho lasciata così, aperta sul mondo.

Al Jazeera ha lasciato spazio al boato di gioia del popolo per interi minuti. Sembrava un mare che si rompesse, un Mar Rosso che si apre.

Fuochi d’artificio fai da te sono partiti subito da tutti i tetti e i balconi, e non hanno smesso di esplodere nel cielo del Cairo per ore e ore, in un Capodanno napoletano centuplicato.

Quando hanno ripreso a parlare, gli stessi giornalisti hanno iniziato a piangere. Piangevano mentre parlavano, altri non riuscivano a commentare.

Quando ho messo un piede fuori dalla porta, subito, come una scossa, la consapevolezza di uscire in un Paese diverso. D’un tratto, la leggerezza priva di terrore di casa mia mi si era fatta più vicina, e i due Paesi del mio cuore accorciavano le distanze.

30 anni di dittatura. 18 giorni di rivoluzione. Nulla sarà mai più come prima.

11.02.2011. Una data storica, una cifra che se letta da sinistra a destra all’occidentale o da destra a sinistra alla araba dà lo stesso risultato. Mondi che si avvicinano, diritti che spuntano all’orizzonte, una dimensione nuova, priva di paura, che promette dignità e consapevolezza. Lo avevano chiamato “Farewell Friday”, il venerdì dell’addio, quando ciò sembrava un’illusione disperata e solo gli idealisti e gli innamorati dei sogni continuavano a crederci, a credere a qualcosa. Una data storica per sempre.

Ho pensato a B., partito ieri notte con sulla bocca quella battuta, “Vado a sistemare le cose per quella gente”, il sorriso del suo solito ottimismo dall’inizio di questa storia. Sembrava lo sapesse. L’ho invidiato a morte per essere là in questo momento. Questa mattina, quando si temeva un bagno di sangue, gli avevo scritto al cellulare: “Il mondo che guarda è con voi, qualunque cosa dicano i governanti.” Mi è arrivato il suo grazie stasera. Le emozioni della festa sulle strade di tutto il Paese mi travolgono come uno tsunami di vita, arrivando per vie misteriose attraverso onde percepibili.

Poi, hanno inizio le eco nei social network, ed è un altro boato. Facebook entra in tilt. E io esco per le strade di un Paese libero.

P.S. Notturno

Congelati i capitali di Mubarak in Svizzera, il quale si troverebbe a Sharm in attesa di raggiungere il suo amichetto Ben Ali in Arabia Saudita, dove il mandato di estradizione non ha alcun valore.

Il nostro caro TG5 naturalmente ha parlato di “decine” di vittime, quando sappiamo benissimo che sono state almeno 350. La TV di Stato ESC continua ad elencare i meriti del Presidente uscente in un lungo special.

Festeggiano anche a Beirut, in Tunisia e in altri Paesi arabi, dicendosi orgogliosi degli egiziani. Le immagini dal vivo della festa in corso al Cairo continuano a riempire la notte e i libri di storia.

Domattina i giovani vogliono organizzarsi per ripulire la piazza – così postano già dal Cairo su Facebook. Qui ora si moltiplicano i fotogrammi, gli slogan di gioia, gli aneddoti, ancora le interviste, le persone son tornate alla vita –  è impossibile mettere tutti questi brividi dentro un solo articolo. Ci saranno per questo i prossimi giorni, in un Paese nuovo.

11 FEBBRAIO 2011 – MISSIONE COMPIUTA



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