Ora sei nel pleistocene e un attimo dopo nel futuro più remoto: al cinema si può! [da "2001 Odissea nello spazio"]
Questi sono i viaggi che vi avevamo proposto l’anno scorso, ma non basta perché al cinema i viaggi sono infiniti e ognuno ha il proprio fascino. Quindi non fermiamoci e iniziamo questi 11 diversissimi viaggi in 11 (più o meno) magnifici film.
FILM DE CHEVETChevet in francese significa più o meno comodino. Le livre de chevet si tiene sul comodino per sfogliarlo, rileggerlo, accarezzarlo. Come i libri i film de chevet si amano, si guardano, si sfogliano, si accarezzano, si portano sempre con sé.
Dall’amore ai tradimenti, dai cartoni animati all’horror, dai viaggi alla famiglia, dai drammi storici ai porno … scopri il ricchissimo archivio dei film de chevet dell’Undici
Il mito racconta che questi portarono a spasso 8.000 mucche. La storia racconta che adesso c’è un McDonald in ogni angolo del mondo
“Il Fiume Rosso” (Red River) di Howard Hawks, USA, 1948.
Con John Wayne, Walter Brennan, Montgomery Clift, John Ireland
“Cosa preferireste avere? Quello che abbiamo lasciato alle spalle o quello che potrebbe esserci davanti?”
Questo è un vero e proprio viaggio nel mito perché quello del vecchio West è un mito non troppo diverso dai miti di cui ci nutriamo dai tempi di Omero. Qui il mitico Howard Hawks (uno degli autori più grandi della Hollywood classica) si cimenta per la prima volta col genere portando allo scontro il vecchio mito del Duca John Wayne con la stella nascente Montgomery Clift.
Un padre padrone duro e spietato che dal niente ha costruito una fortuna che si scontra col figlio romantico e ribelle. E il tutto avviene durante un viaggio che più mitico non si può: quello di una carovana di cow boy che devono condurre una mandria di 8.000 (ottomila) mucche in un lungo e durissimo viaggio attraverso il Fiume Rosso. Il risultato è un viaggio mitico attraverso la frontiera che ci porta dritti dritti alle radici del Sogno Americano. Scene di una spettacolarità incredibile per un film perfetto, romantico e violento di quelli che non se ne vedono più.
“Mangiare una T Bone di almeno un chilo e due, bersi mezzo litro di Whisky, farsi amputare un dito senza anestesia e poi guardarsi il film”
Se non raggiungiamo i nostri sogni la scusa più comoda è dare la colpa ai bamibini, anche se sappiamo benissimo che non è così
“Alice non abita più qui” (Alice doesn’t live here anymore) di Martin Scorsese, USA, 1975
Con Ellen Burstyn, Kris Kristofferson, Diane Ladd, Lane Bradbury, Lelia Goldoni, Laura Dern, Harvey Keitel, Jodie Foster
“Le dispiace girarsi un po’?” - “Girarmi? Perché?”
“Voglio darle un’occhiata.” - ”Allora guardi la mia faccia: non canto mica col culo!”
Che meraviglia il cinema americano degli anni Settanta! Ti faceva vedere il mito e poi ti portava in fondo al sogno americano e ti accorgevi che non restava nulla. Ma era un cinema libero e la sua libertà era contagiosa.
I sogni più belli finiscono con un ballo e con un bacio … cameriera un caffé e il conto!
La libertà, i vecchi sogni abbandonati e un figlio di 11 anni sono tutto ciò che si ritrova Alice quando rimane vedova del marito noioso ed ottuso. E così si mette in viaggio per rincorrere il sogno perduto di fare la cantante. Ma le lunghe e diritte strade che attraversano la provincia americana portano in luoghi in cui i sogni sono costretti a misurarsi con la realtà fatta di piccole cose, bassezze, violenze, mance ridotte e amori sinceri. Uno dei primi film di Martin Scorsese con una storia libera e romantica che ancora oggi è in grado di farci sognare per poi ferirci coi cocci che restano dei nostri sogni. [Dal film è stata tratta la serie TV Alice che riprende in parte la stessa storia e gli stessi personaggi.]
Trattate come una cameriera chi vede questo film con voi (quindi molto gentilmente)
La storia racconta come finì la corsa …
“Train de Vie – Un treno per vivere” di Radu Mihaileanu, Francia, Belgio, Romania, Israele, Olanda, 1998.
Con Agathe De La Fontaine, Lionel Abelanski, Rufus, Clément Harari, Marie José Nat
“Lo vedete? Non è nazista chi lo vuol fare, è nazista chi se lo merita!”
Viaggio della speranza o della libertà. Quando arrivano le prime notizie sulle deportazioni naziste, un villaggio di ebrei rumeni si organizza per una fuga di massa: si costruisce un treno per deportati, chi parla meglio il tedesco (“il tedesco non è che un yiddish senza ironia; levate l’ironia dall’yiddish e parlerete tedesco”) viene travestito da sorvegliante nazista e via, in fuga verso la Palestina. Film profondo, ma con momenti di comicità pura (l’incontro con un treno di zingari che hanno avuto la stessa idea) e battute in pieno stile yiddish (“Schloime, perché sei tu il matto del villaggio?” “Per caso. lo volevo fare il rabbino, ma il posto era già preso”) e con un finale aperto: saranno riusciti i nostri eroi? Tutto bellissimo, tutto perfetto, ma non so perché, nessuno riesce a levarmi dalla testa che ‘sto film sia parecchio sopravvalutato. Seguirà dibattito.
Da guardare in pigiama bianconero a strisce
Se mi accompagna questo Jack Nicholson sono disposto ad andare anche a Guantanamo
“L’ultima Corvée” (The Last Detail) di Hal Ashby, USA, 1973.
Con Jack Nicholson, Randy Quaid, Otis Young
“Bravo-Yankee-Bravo-Yankee. Bye-bye. Cazzo, quello cerca di scappare”
In viaggio verso otto anni di carcere militare, da scontare per avere rubato nientemeno che 40 dollari da una raccolta di beneficienza organizzata dalla moglie dell’Ammiraglio. I sottoufficiali di marina Somawsky (un Jack Nicholson ai suoi vertici, senza se e senza ma) e Mulhall (Otis Young) sono i due sorveglianti incaricati di scortare in prigione il giovane marinaio Meadows (Randy Quaid). Ne diventeranno – soprattutto “il somaro incazzato Somawsky” (“Badass Buddasky nell’originale) – le guide spirituali, sulla via di una sua personale crescita interiore: il povero ed insicuro marinaio grazie a loro conoscerà il sesso, parteciperà a una rissa, imparerà a mettere al loro posto i baristi stronzi. Ma finirà anche per capire l’assurdità della sua condanna, cercando di scappare in barba ai compagni di viaggio. Un’ultima corvée che non si dimentica, un grande classico dell’on the road USA. Ancora bellissimo.
Da guardare allenandosi con le bandierine del codice nautico di segnalazione
Possiamo anche fare gli schizzinosi, ma questo film è entrato nella memoria collettiva
“Vacanze di Natale” di Carlo Vanzina, 1983
Con Christian De Sica, Jerry Calà, Stefania Sandrelli, Riccardo Garrone, Claudio Amendola, Rossella Como, Mario Brega, Marilù Tolo, Clara Colosimo, Licinia Lentini, Antonella Interlenghi, Rossana Di Lorenzo, Moana Pozzi, Karina Huff, Roberto Della Casa, Guido Nicheli
Se i Vanzina si fossero fermati a questo Vacanze di Natale l’Italia sarebbe stato un paese migliore, ma è vero soprattutto il viceversa
“Eh frocio… bisex. Moderno”
Da qui tutto ebbe inizio. Il cinepanettone, il cliché del romanazzo cialtrone di Christian De Sica, er borgataro dar core bbòno di Claudio Amendola (cazzo, Claudio Amendola!!!). Questo è l’Alfa e l’Omega, la fonte battesimale. Passato troppe volte in TV per doversi ancora dilungare sulla trama (oddìo, trama…), vanno comunque richiamati alla mente la colonna sonora a colpi di canzonette disco-dance di italiani con nomi fasulli (Gazebo, Gary Low, Ryan Paris), le capigliature improbabili, le inquadrature ridicole (imperdibile all’inizio del film, in un periodo che dovrebbe essere attorno al 20 di dicembre, gli sgocciolamenti di neve dai tetti da fine marzo), Jerry Calà (!) sex symbol… Insomma, monumentale. Più che viaggio in montagna, uno straordinario viaggio nell’Italietta dei primi anni ’80.
PS: per dare una misura del livello, quel cazzone di Christian De Sica tranquillamente 10-15 spanne sopra qualunque altro attore della combriccola (Sandrelli compresa).
Da guardare con capelli rigorosamente cotonati
“The Blair Witch project” è una metafora della vita: cammini e cammini e ti ritrovi sempre allo stesso posto; quando credi di avere capito qualcosa, muori
“The Blair witch project” di Daniel Myrick, Eduardo Sánchez. USA, 1999
Con Heather Donahue, Joshua Leonard, Michael C. Williams, Bob Griffith, Jim King
Nel 1999 Internet esisteva, ma era un’altra cosa rispetto a quella che conosciamo oggi: niente facebook, niente social network, niente smart phone, ci si collegava lentamente da postazioni fisse usando il browser, il client di posta, qualche lettore di newsgroup e poco altro. Ma gli autori di questo film riuscirono ad inventarsi un geniale marketing virale che attraverso forum e newsgroup fece viaggiare il film ancora prima che nascesse creando un’attesa incredibile. Così con un film amatoriale da 60 mila dollari riuscirono ad incassarne 250 milioni. Decisamente un bel viaggio! La trovata geniale fu di raccontare che si era trovato del materiale video girato da tre ragazzi che erano scomparsi in un bosco mentre giravano un documentario sulla leggenda di una strega che infestava la zona. Il film è niente di meno che il video ritrovato. Nel 1999 ancora il “found footage” (immagini riusate da telecamere, computer, telefonini, monitor a circuito chiuso, telegiornali, internet etc.) non esisteva o almeno non era ancora stato abusato e così l’impatto del film fu realmente spaventoso. Poi “The Blair witch project” ha avuto una miriade di emuli, di figli e figliastri quasi sempre poco riusciti, ma ancora oggi se ci si lascia coinvolgere dal gioco è facile immedesimarsi con l’ansia e col terrore che vivono i tre ragazzi che girano a vuoto nel bosco, spaventati da qualcosa che non vediamo mai.
Da vedere in un posto dal quale si conosce perfettamente la via per tornare a casa
Esistono autobus molto più colorati del 28 barrato
“Priscilla, la Regina del deserto” (The Adventures of Priscilla, Queen of the Desert) di Stephan Elliott, Australia, 1994.
Con Hugo Weaving, Guy Pearce, Terence Stamp, Rebel Penfold-Russell, John Casey
“Appiccati il fuoco al cordino del tampax e fatti esplodere la caverna; è l’unica botta che puoi avere”
Se i viaggi di sempre vi annoiano, provate a cambiare genere. No, non genere di viaggio, proprio genere sessuale. In Priscilla, tre allegre (a tratti) drag queen – la giovane, quella con moglie e figlia da una precedente vita, quella ormai in là con gli anni – attraversano l’Australia per andare a tenere uno spettacolo nell’albergo della moglie di cui sopra. Paesaggi immensi, colori, incontri, tanta comprensione ma anche parecchia chiusura nella civilissima Australia, momenti comici ma anche drammatici… E tanta colonna sonora rigorosamente Seventies, da I will Survive all’opera omnia degli Abba. Un film on the road, di poca pretesa e grande resa, tratto da un musical, peraltro rilanciato dal film stesso e che ancora oggi continua ad essere rappresentato in tutto il mondo.
Da guardare mentre si stirano e rimettono in sesto i pantaloni a zampa di elefante
Due bravi compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai …
“Midnight in Paris” di Woody Allen, 2011
Con Owen Wilson, Rachel McAdams, Kurt Fuller, Marion Cotillard, Michael Sheen, Kathy Bates, Adrien Brody
“Che Parigi esista e qualcuno scelga di vivere in un altro posto nel mondo sarà sempre un mistero per me!”
Con tutta probabilità, potendo viaggiare nel tempo, io andrei a farmi una bella rivoluzione (la Francese o l’Ottobrina? c’est du pareil au même pour moi). Ma gli anni Venti parigini di Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Gertrude Stein e della “Generazione perduta” sono in effetti una scelta eccellente di viaggio nel tempo, mio caro Gil, sceneggiatore statunitense con velleità di romanziere, fidanzata e congiunti poco fiduciosi al seguito in gita nella Ville Lumière. Due passi per strada, un passaggio su un’auto e pouf! Gil si ritrova sbalzato indietro di quasi un secolo, a spassarsela tra i suoi idoli buonanime: nei suoi panni, voi vorreste tornare alla realtà? Attenti! La realizzazione dei propri desideri conduce in terre sconosciute e malsicure, specie se si passeggia su e giù tra gli ultimi secoli. Una storia bellissima, anche sull’importanza nella vita dei compagni di viaggio (reali o meno).
Da vedere insieme a tutti i vostri scrittori e pittori preferiti. Tutti tutti tutti. Tutti e due, dai.
Il copyright del Capra’s touch ce l’aveva solo Frank Capra, quindi guardatevi i suoi film
“Accadde una notte” (It Happened One Night) di Frank Capra, 1934
Con Claudette Colbert, Clark Gable, Walter Connolly
“Queste saranno le Mura di Gerico, come quelle che caddero quando Giosuè suonò la tromba. Non temete, vedete? Non ho nessuna tromba!”
Capostipite dei film on the road, anzi on the bus, perché i nostri eroi – l’ereditiera in fuga per sposarsi contro la volontà del padre e il giornalista che l’ha riconosciuta e si finge suo amico per raggranellare uno scoop – viaggiano su uno dei mitico corrieroni Greyhound. Attraversano l’America della Depressione, si innamorano e inanellano una serie di scene passate alla storia (le mura di Gerico, l’autostop con gonna sollevata). Dunque, il viaggio come crescita e scoperta di sé, come costruzione del sé più vero e come sincero avvicinamento alla realtà, e tutte boiate del genere. Oppure, invece di prendere Italo, perché non vi buttate su un bel corrierone appennico, magari ci trovate un’ereditiera. Oppure una pietra miliare della commedia hollywoodiana, uno dei tre soli film ad avere vinto i “Big Five”, cioè i cinque Oscar principali (gli altri due vincitori sono “Qualcuno volà sul nido del cuculo” e “Il silenzio degli innocenti”).
Da vedere su un vero torpedone.
E’ più facile trovare refrigerio e calore umano nel profondo Nord del mondo piuttosto che in un’affollata spiaggia della Riviera
“Nord” (North) di Rune Denstad Langlo, Norvegia, 2009
Con Anders Baasmo Christiansen, Kyrre Hellum, Mads Sjøgård Pettersen, Marte Aunemo.
“– Non sono un padre, ho attacchi di panico, non sono in grado di viaggiare. – Sì, ma tu devi andarci.”
Sulla strada del depresso Jomar verso suo figlio, lassù nel Nord profondissimo, anche noi rischiamo di restare accecati, insieme a lui, dal riverbero terribile delle nevi infinite. Alle spalle di Jomar bruciano un passato di ricordi di gloria e occasioni perdute e un presente di pasticche e psichiatri; dentro di lui brucia un sacco di alcol, sotto le sue chiappette sfreccia e poi fonde una motoslitta. I pochi esseri umani che Jomar incontra lungo il tragitto sono tutti soli, ma tutti disponibili a mettersi in gioco, ciascuno a modo suo. Un viaggio ghiacciatissimo e parecchio sarcastico, per quelli che non hanno più niente da perdere.
Da vedere con guanti, berretto e una tanichetta di acquavite (anche nell’afa della Pianura Padana ferragostana).
Solo alla morte non c’è rimedio
“Miele” di Valeria Golino, Italia, 2013
Con Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero de Rienzo, Vinicio Marchioni, Iaia Forte
“Nessuno vuole veramente morire. Nessuno!”
Viaggia molto Miele, viaggia in aereo, in treno, in bicicletta. Ma non è mai da nessuna parte. E corre e nuota. E si immerge nel mare e in doratissimi campi di grano. E’ sempre in movimento come per ricordare al suo corpo e alla sua anima che è viva. Ma ogni gesto che compie, compreso il sesso che vive più con rabbia che amore, non riesce a toglierle la morte da dosso. Perché il lavoro di Miele è accompagnare dolcemente per l’ultimo viaggio i malati terminali che non possono rimanere più attaccati a quella che non è più vita. L’esordiente Valeria Golino è bravissima a trattare un tema come quello dell’eutanasia senza lasciarsi condizionare da tesi precostituiti o scadere in patetismi e scene ricattatorie. Ne esce un film forte ma non pesante che la stupenda Jasmine Trinca si carica mirabilmente sulle spalle: la telecamera non la molla mai (non c’è nessuna scena in cui la protagonIsta non compare) così noi le stiamo vicino e vorremmo aiutarla perché se è vero che “nessuno vuole veramente morire” è anche vero che la morte è ovunque e non ci sarà né aereo, né treno, ne corriera che potrà allontanarla per sempre.
Da vedere con 37e2 di febbre, non una linea di più