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11. L’aula

Creato il 28 gennaio 2011 da Fabry2010

11. L’aula

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L’aula vuota suscita in Alberto immagini contraddittorie: un parlamento, un cimitero (di quelli polacchi, perfettamente regolari, stessa distanza fra tomba e tomba, corridoio e corridoio), un edificio ospedaliero (i finestroni squallidi, asettici e inestetici, pronti a ricordare che si deve morire, prima o poi). Il quadro muta quando l’ambiente si riempie di studenti, i mille colori di magliette, camicie, teste ferme e assorte se la lezione è interessante oppure ciondolanti, mobili a destra e a sinistra, complici di chiacchiere, battute, parolacce, se l’accademico di turno non sa comunicare. Alberto ama la prospettiva in cui si trova, l’idea che da lui parta un movimento che si trasmette ai banchi, attraversa i cervelli, rimescola gli animi, li dispone a un progresso mentale, culturale; si accorge subito quando ha toccato il punto giusto dagli sguardi che si accendono, le penne che cominciano a vergare segni sui blocchi per appunti, le occhiate che i giovani si scambiano, per chiedere conferma di un interesse rinnovato. E’ fiero di non essere un barone polveroso che produce muffa nelle orecchie più entusiaste, soffoca gli slanci, fa sentire il sapere come controindicazione all’esistenza autentica. Eppure ha un cruccio che gli sta logorando la salute: percepisce in sé una vocazione di scrittore, vorrebbe scorrazzare nelle praterie dell’immaginazione più sfrenata, plasmare personaggi da seguire con il fiato sospeso, lasciati ogni volta sulla soglia di un pericolo, di un dubbio, di una svolta, ora in balia di una pistola, ora di un possibile incidente, ora di un crollo psicologico, in un vortice che non dà mai tregua e fa voltare pagina in attesa della novità che spiazzi un’altra volta; vorrebbe battere sui tasti del computer assecondando la logica della narrazione, e invece no: è un professore, un critico, uno che s’impunta sui dettagli, che spacca il capello, che imbriglia l’anima negli schemi fissi della teoria della letteratura. Davanti all’aula vuota, Alberto piange: chi l’ha convinto a entrare in una trappola da cui non sa più uscire? Non ha voglia di vivere: l’aula è un cimitero polacco perfettamente regolare, stessa distanza fra corridoio e corridoio, tomba e tomba, un edificio ospedaliero dai finestroni squallidi pronti a ricordarti che devi morire, prima o poi.



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