da qui
Vista da sotto, la basilica è altissima: i lastroni in pietra grezza contrastano con la facciata ornata da finestre incavate e disegni stilizzati. Ad accentuare la varietà del quadro si aggiungono le palme svettanti contro il cielo cobalto.
- Yousef, la troveremo, costi quel che costi; ho avuto informazioni attendibili, dovrebbero essere già qui.
E’ un sabato pigro in cui sembra che nulla debba muoversi, perfino il silenzio fatica a dispiegarsi, s’infastidisce per un refolo di vento.
- Eccola: Avigail! Fermati, non entrare in quella chiesa!
Chlomo avverte le voci provenienti dall’interno: si affaccia al piano sottostante, dove campeggia l’altare coperto da una tovaglia bianca coi bordi in pizzo fine, tre ceri sorretti da altrettanti supporti in ferro lavorato e una croce semplice dalla parte opposta.
- Non ti ascolta, Ismail, ormai è decisa.
Più in là, una cancellata, intervallata da quattro colonne sormontate da lampade da cui parte una luce rossa e fioca; ancora oltre, un rudere in pietra con un arco doppio, che introduce nella stanza interna; il tutto sovrastato da una specie di corona a forma di parallelepipedo con figure in oro.
- Corri, Yousef, dobbiamo bloccarla, prima che sia tardi.
Intorno all’altare, un gruppo di pellegrini in camicie e magliette colorate, con cappellini bianchi a visiera, si sposta lentamente; un vecchio stempiato ha una faccia da pescatore cotta dal sole e procede a braccetto con una signora dal petto prosperoso ma cadente; un’altra, con la maglia viola, è seduta vicina a una colonna con le braccia conserte, per riprendere fiato o concedersi un momento di preghiera.
- Calmati, Ismail, è troppo lontana, non capisci?
Il silenzio è interrotto dai passi lenti e incerti, a causa del luogo e dell’età: si percepiscono parole smozzicate o colpi di tosse attutiti con le mani; una donna vestita di nero, nell’angolo a destra, indica qualcosa. Sul piano elevato, alla sinistra dell’altare, giace una borsa in cuoio con un fazzoletto pendente dal lato in primo piano. Yeohochoua si volta: Avigail è lì, davanti a lui, non è mai stata così bella.
- Corri, corri, Yousef, c’è la mia vita, oltre quella porta, tutta la mia vita!
E’ l’ultima immagine distinta che Chlomo registra quel sabato mattina: d’un tratto, tutto diventa rosso fuoco, con pezzi di ferro e legno e carne umana che volano in ordine sparso nello spazio diventato incandescente, una nuvola dai contorni indefiniti che consuma qualunque cosa tocchi, riducendolo in polvere ustionante. Quando il fumo si dirada, un solo oggetto è ancora integro, in mezzo alle macerie e ai corpi dilaniati: un quaderno coi gigli di Firenze, dai colori vividi, come se l’urto della morte non potesse scalfirli, profanarli.






