Magazine Horror
Attilio trotterellava lungo il marciapiede al bordo della statale, incurante del festoso garrire delle rondini in cielo e dell’insensibile rombo delle automobili che sollevavano l’aria al suo fianco. Scuro in volto, i lineamenti tirati, il ragazzino tredicenne rimuginava dentro di sé sul compito che la professoressa d’Italiano, dal gentile appellativo di “Tyrant”, aveva appioppato tra capo e collo alla classe per punirla di un’infrazione alla disciplina.Giunto di fronte alla meta, non suonò al portone della simpatica villetta, ma entrò deciso dal cancello laterale in ferro battuto: a quell’ora la persona che desiderava incontrare era di sicuro seduta all’ombra della pergola, impegnata a godersi il tepore dello splendido pomeriggio di piena primavera. Infatti, eccola lì, immersa nella lettura.«Ciao nonno!» salutò con foga Attilio, avvicinandosi svelto all’uomo anziano.Flavio Vegnuti, maresciallo dei carabinieri in pensione, trasalì per la sorpresa, tanto la sua attenzione era rivolta a vicende appartenenti a un altro mondo. Sollevando gli occhi dalla pagina stampata scorse la figura alta e magra del nipote. Un sorriso di bonario affetto gli stemperò il naturale cipiglio della faccia vizza, una maschera tragica peggiorata dall’annosa frequentazione di delitti e miserie umane.«Ciao Attilio! Qual buon vento ti porta?» domandò il nonno, posando il libro sullo snello tavolino di vimini di fronte a lui.Invece di rispondere, il ragazzino, mentre si lasciava cadere di peso sulla poltroncina dirimpetto, chiese di rimando: «Che cosa leggi di bello?».
«Di bello non direi» rispose il pensionato. «Piuttosto d’istruttivo: è “Il Conte di Montecristo”». Notando lo sguardo del nipote sommerso dai flutti di una profonda perplessità, si affrettò a spiegare: «Si tratta della storia di un uomo onesto e capace che, tradito dagli amici invidiosi e lasciato dalla sua promessa sposa, viene gettato ingiustamente in prigione. Dopo quasi quindici anni, riesce a evadere dalla galera e, impadronitosi di un immenso tesoro, si vendica con puntiglio scientifico di coloro che gli avevano voluto così male da rovinargli la vita».«Interessante» bofonchiò Attilio confrontando lo spessore del tomo con quello del proprio lettore di ebook, «potrebbe servirmi per il tema che la Prof ci ha dato per domani».«E sarebbe?» s’informò il nonno, intuendo di colpo il reale motivo di quella visita inattesa.«Il Bene e il Male» sospirò afflitto il giovane, arricciando le labbra sotto il naso a rimarcare la titanica difficoltà dell’impresa.«Caspita! Un tema davvero impegnativo» concordò Vegnuti, scuotendo comprensivo il capo.«Per questo ho bisogno del tuo aiuto: babbo e mamma rientrano troppo tardi dal lavoro».«Hai già qualche idea?» lo stuzzicò l’arzillo ottantenne incapace d’abbandonare i panni dell’investigatore.«Beh, sì. Ti dirò, all’inizio mi sembrava un argomento piuttosto facile da svolgere: ho pensato a Dio, al Diavolo, alla dottrina che ci insegnano a catechismo sul peccato…».«Mi sembra un buon punto di partenza» commentò l’ex maresciallo annuendo.«Lo credevo anch’io, poi, però, mi sono ricordato di quando passai il compito di matematica a Luciano e il Prof mi beccò: mi presi un bel “3”! E io che l’avevo fatto a fin di bene, per aiutare un amico in difficoltà. Questo mi ha messo in crisi…».«Il tuo insegnante non poteva comportarsi altrimenti: avevi infranto le regole. Gli esseri umani si sono dati delle norme di comportamento da rispettare appunto per definire al meglio i confini tra Bene e Male» chiosò il pensionato che aveva trascorso buona parte dell’esistenza a cacciare malfattori.«E allora?» domandò il tredicenne, le spalle ingobbite per lo sconforto.Vegnuti fissò il nipote, una luce di paterno affetto gli danzava allegra negli occhi. Attaccò: «Ti voglio raccontare una storia successa tanto tempo fa: la tua mamma era grande quanto te».Attilio si mise comodo, l’espressione rapita di chi è pronto a percorrere i piacevoli sentieri del sogno. Adorava quando il nonno gli narrava di vicende reali che per lui erano lontane nel tempo quanto la Seconda Guerra Punica: gli sembrava di essere Frodo accoccolato ai piedi di Gandalf intento a rievocare la Prima Era della Terra di Mezzo.«Olinto Busticchi era un contadino, discendente di una stirpe che da generazioni lavorava un piccolo podere vicino alla Magra. Forse fin dall’epoca in cui Obizzo Malaspina ricevette la signoria su queste terre. Uomo scolpito nella pietra, duro e senza grilli in capo, onesto sino al midollo. Almeno così lo stimavano tutti coloro che lo conoscevano. La sua croce non era tanto la vita grama che conduceva quanto l’unico figlio, un debosciato farfallone che sperperava al bar e nei locali notturni della Versilia i pochi soldi che la madre gli passava di nascosto.Una mattina, mentre era a lavorare nel campo, un’automobile, una Fiat 1100/103 TV se mi ricordo bene, precipitò dalla china che bordava il confine meridionale: un volo di almeno una decina di metri. Olinto, mollata la zappa, corse in fretta sul luogo dell’incidente per prestare soccorso, ma il guidatore era morto per i traumi della caduta: niente cinture di sicurezza e airbag allora! Non gli rimaneva che informare le autorità. Stava per allontanarsi quando notò che il bagagliaio della macchina si era aperto nell’urto. All’interno c’era una grossa borsa di pelle. Olinto non era un tipo curioso, tuttavia il destino aveva deciso altrimenti. L’aprì e rimase sbalordito: dentro c’era una profusione di mazzette di banconote da 10000 Lire. Dieci milioni, appurammo in seguito durante le indagini: una cifra enorme negli anni cinquanta! Chissà che gli passò nella testa in quell’attimo. Forse secoli di sofferta povertà reclamarono vendetta, oppure interpretò la scoperta come il clemente intervento di una mano divina, o, ancora, fu un semplice cedere alla tentazione: non lo sapremo mai. Ad ogni modo, Olinto decise in un lampo cosa fosse bene per lui: s’impadronì del bottino.Neppure un mese e tutto il paese di Villafranca s’accorse dell’improvviso cambiamento di vita della famiglia Busticchi. Olinto, infatti, buttò via lo scalcinato motocarro Guzzi, sostituendolo con una fiammante Lancia Aurelia, e finì di sgobbare nel podere, trascorrendo le giornate al bar, prodigo nell’offrire da bere agli altri avventori. La moglie Nera non solo iniziò a pagare in contanti gli acquisti nelle botteghe, invece di farli segnare sul chilometrico conto, ma un pomeriggio sì e uno no prese a frequentare la parrucchiera, lei che si era sempre acconciata i capelli in casa. Smise persino di assistere alla messa mattutina delle otto, preferendo quella delle undici, molto più comoda e signorile. Quanto al figlio Giovanni, il dissoluto si trasferì armi e bagagli a Viareggio.Da parte nostra, intendo noi carabinieri della stazione, stavamo indagando sul morto. L’unico documento che aveva era un passaporto intestato a un tal Carmelo Pirandello, residente in un minuscolo borgo siciliano, come dire “sulla Luna”…E’ inutile che fai quella faccia basita. Allora non esistevano i telefonini, figuriamoci Internet! Per chiamare un’altra città, un’interurbana si diceva, bisognava passare tramite centralino: comunicare con la Sicilia era complicato quasi quanto telefonare a New York. E le informative tra le caserme viaggiavano tramite posta o al più corriere se erano urgenti. Non eravamo meno bravi dei poliziotti che vedi nei telefilm della televisione, solo un tantino più lenti per l’arretratezza dei mezzi tecnologici.Quando scoprimmo chi fosse in realtà, era troppo tardi. Una notte qualcuno s’introdusse in casa di Olinto e uccise lui e Nera dopo averli torturati a sangue perché rivelassero dove era nascosto il malloppo. Il Pirandello, infatti, svolgeva le funzioni di galoppino per una potente famiglia mafiosa, era incaricato, cioè, di portare al sicuro in Svizzera il frutto delle imprese malavitose».«Accidenti che storia!» esclamò meravigliato Attilio.«Il meglio arriva adesso. Sconvolto dal duplice efferato omicidio dei genitori, Giovanni si convertì. Abbandonata la condotta di vita lussuriosa, entrò in monastero e si fece frate. A quanto ne so, è morto in odore di santità!... Allora, che ne pensi?».«Spero di non sbagliarmi, ma direi che non sempre quello che ci pare bene si rivela effettivamente tale. E poi che persino da un’azione malvagia può scaturire un beneficio» ritmò il ragazzino, soppesando con cautela ogni parola.«Ottimo» assentì Vegnuti, compiaciuto per la mente sveglia del nipote. «Si fa presto a dire “Bene” o “Male”, a inquadrarli come concetti in astratto, i problemi sorgono quando si calano nella realtà quotidiana. Noi esseri umani siamo creature fragili, bisognose di sicurezze per cui abbiamo costruito delle categorie morali assolute da usare come riferimenti: purtroppo nulla è rigido e fisso come lo immaginiamo. O speriamo. La nostra natura, ci piaccia o no, è un impasto di entrambi, bene e male. Tizio propende più per una parte, Caio per l’altra, ma nessuno appartiene interamente a una di esse. Anche quelli che sono considerati i peggiori criminali dell’umanità in ultima analisi agivano secondo filosofie e convinzioni che per loro costituivano il “Bene”».«Ma se è vero quello che affermi» ribatté Attilio sconcertato, «allora la conseguenza è che bene e male dipendono dal punto di vista! Voglio dire: è bene quello che coincide con il mio interesse, male quanto l’ostacola».Ammirato per l’acume del ragazzino, il nonno riprese: «Calma, ora esageri: non intendevo questo. In teoria tutto ciò che concorre a migliorare nel fisico e nello spirito la nostra esistenza è “Bene”, tuttavia la clausola di aggancio al mondo reale è che questo progresso non deve mai avvenire a scapito di qualcun altro. Ti faccio un esempio. Cos’è l’amore se non il desiderio di stare per sempre accanto a una persona e renderla felice? Non per niente diciamo: “Ti voglio bene”. So che hai una cotta per una tua compagna, quindi capisci di cosa parlo». Il rossore sulle guance del nipote confermò la giustezza dell’affermazione. «Immagina che tu voglia vedere un film al cinema e lei invece desideri andare a ballare. Cosa fai?».«Vado a ballare» sentenziò sicuro il nipote.«Quindi rinunci al tuo bene per quello della tua ragazza, anteponendo la sua felicità alla tua. Ecco la semplice chiave per risolvere il problema di stabilire ciò che è bene o male: se il nostro comportamento danneggia in qualche misura una seconda persona, allora di certo siamo dalla parte del male».«E’ tutto così complicato!» brontolò Attilio, sbuffando per il disappunto. «Dio non poteva crearci tutti buoni?».«Certo, ma sai che noia! E, soprattutto, che soddisfazione ci sarebbe nell’essere amati da qualcuno che non può scegliere altrimenti?».«Non ci avevo riflettuto» ammise il ragazzino, consapevole che la sua morosa lo aveva preferito ad altri coetanei assai più quotati.«Spero di non averti “incasinato”, come dite voi, le idee» sorrise Vegnuti.«No» lo rassicurò Attilio. «In pratica è come la geometria: non basta conoscere i teoremi a memoria, occorre anche sapere come applicarli». Si alzò in piedi: «Ora scappo a casa a buttare giù il testo. Grazie e ciao».Fatti pochi passi il giovane si voltò: «Come finisce quel mattone?». «Il protagonista si accorge che la vendetta non l’ha risarcito di quanto ha sofferto, anzi gli ha lasciato l’amaro in bocca, tuttavia ha la speranza di poter essere di nuovo felice grazie all’amore che nutre per una donna» rispose l’ex maresciallo, il libro già aperto tra le mani.«Un bel malloppo! Il mio tema sarà senz’altro più corto» sospirò Attilio prima di correre via.«Beh, Alessandro Dumas non aveva videogiochi con cui distrarsi» lo consolò il nonno rituffandosi nella lettura.
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