da qui
La casa in pietra è suggestiva, riporta alla memoria un tempo che fu, e che in fondo resta sempre. Due letti appaiati sotto un soffitto a cassettoni, tre quadri alle pareti, un tavolo minuscolo e una sedia delle stesse proporzioni, un mobile antico, color sabbia. Nel giaciglio più vicino alla porta è coricata una donna anziana, una smorfia di dolore in fondo agli occhi. Una suocera è sempre una suocera: Shime’on le si avvicina con prudenza, come temendo di essere invadente. Fatica a trattenere i sentimenti, ma è meglio non strafare; guarda Yehochoua, per chiedere un aiuto: lui è attraversato da un sorriso che rischiara i lineamenti appena in ombra. La casa gli ricorda certi viaggi degli anni precedenti, un castello, come si chiamava? ah, Gradara, un borgo tutto pietre, merli e ponti levatoi, un prato all’inglese e personaggi in costume medievale arrampicati lungo lo scalone, sarebbe apparso certamente un fantasma, da un momento all’altro, Paolo e Francesca, per esempio, avvinghiati sulla poltrona dai cuscini rossi, labbra contro labbra, le mani di lei abbandonate sulle coscie, quelle di lui le stringono il mento, ansiose, perché Gianciotto arriva quando meno te lo aspetti, maledetti! vi ammazzo! e poi Dante, la Commedia, il sole al tramonto che batte sulle mura del castello, i gerani aggrappati alla ringhiera, le luci che scendono nello stradone sconnesso del paese, la luna che si alza all’improvviso, testimone involontaria di omicidi e guarigioni: Yehochoua protende la mano, la suocera si alza docilmente, come ti senti?, meglio, molto meglio, Shime’on sorride, il ponte levatoio si abbassa con un rumore di ferraglia, alla luce dell’alba, quando gli alberi sono mani che si toccano, labbra che si baciano, corpi sdraiati sui cuscini rossi dell’autunno.