14 ottobre 2000

Da Tofina
Sabato sera, diciassette anni. Una cena con gli amici nella solita pizzeria.Il primo freddo, il mio cappottino bordeaux abbinato alle All Star dello stesso colore.Le luci arancioni dei lampioni del centro.Pioggia, maledetta pioggia che ti increspa i capelli. La mamma che prima di uscire ti ha obbligato a prendere l'ombrello, ti ha impedito di usare il motorino. Gli amici, le risate. I cellulari squillano: nessuna suoneria polifonica, ma solo quello che passava il caro vecchio Nokia.Bisogna tornare a casa, stanno chiudendo le strade. Le cantine sono allagate, la montagna sta crollando. Siamo tutti insieme, non ce ne rendiamo conto. La situazione non può essere così tragica, le mamme al telefono sono le solite apprensive. Noi siamo tutti qua, abbiamo mangiato la pizza, stiamo andando verso il pub, la pioggia non rovinerà il nostro sabato sera, quello che abbiamo aspettato per tutta la settimana.Eppure per strada sembra che non si parli d'altro. Eppure qualche mamma insiste: "Tornate a casa, la Dora è troppo alta, la Dora sta per uscire, la montagna è zuppa, la montagna crolla".Cominciamo a crederci, comincia la paura.Anche se la maggior parte di noi non abita nelle zone rosse, tutti hanno un qualcuno a cui pensare. Uno zio, i nonni, l'amica di famiglia, il compagno di banco, il migliore amico di cui sei innamorata che non risponde ai messaggi. Ricordo quella notte come fosse ieri, nel letto, il cellulare in mano in attesa di una risposta. "Ho dovuto lasciare casa mia, dormo da mia nonna". O era tua zia? L'ho letto solo la mattina dopo, quando fuori ancora era un inferno di acqua e fango.
Non ho altre parole per ricordare quel giorno e quelli che seguirono. Quel banco vuoto in classe, le case distrutte, le strade invisibili sotto la melma, la mia valle piegata. 

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