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17. Parigi o cara

Creato il 29 settembre 2011 da Fabry2010
17. Parigi o cara

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Il fascino ti entra dentro, come un profumo o una musica: la città ha le sue dita, che toccano le corde più sensibili.
Mi venne in mente il profeta Isaia nel momento in cui dice eccomi, manda me. Io non chiesi nulla e rimasi allibito quando appresi la notizia.
Le chiese ricamate all’uncinetto, la torre che sfida il cielo come una bestemmia, le piazze sospese tra nuvole e fontane.
Inutile tornare sui pettegolezzi e le malignità: che la scelta era caduta su un prete di montagna per vendicarsi con De Gaulle del nunzio precedente; o le battute su come se la sarebbe cavata lo sconosciuto monsignore dell’alto bergamasco nella città di Verlaine e Mallarmé.
Perfino gli alberi sono compunti damerini che conversano con l’erre moscia sotto la cupola del Sacré-Coeur.
Dovetti dannarmi per essere accettato, dopo le vicende della Resistenza.
L’erba rasa dei giardini pubblici è una pagina verde, dove i passi annotano pensieri che sono già ricordi.
Fu allora che imparai la libertà, la certezza di sentirmi cittadino del mondo, il conforto che nessun luogo sarebbe stato così alieno da me da non potermi riconoscere e trattare come amico.
Fra i tavolini e le tende del Boulevard Saint Germain ti senti nel cuore della civiltà, chiacchieri fumando coi fantasmi di Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre.
Riuscii a respingere tutti i tentativi di tirarmi di qua e di là, soprattutto da parte dei circoli esclusivi e aristocratici, che mi tentavano con l’esibizione sfrontata di sfarzo e di ricchezza.
L’Arco di Trionfo è la faccia della Francia, la sua alterigia, lo snobismo sprezzante, appena addolcito nelle forme arrotondate del museo del Louvre.
Al mio arrivo, trovai un intrico di sentimenti e posizioni antagonisti: conservatori e progressisti si davano battaglia – cacciate i vescovi collaborazionisti! Viva Petain! -; mi ritrovavo in mezzo, attratto dal richiamo della storia e responsabile della sorte di tanti miei colleghi, considerati traditori della democrazia.
Ti senti un re camminando tra le aiuole di Versailles, ti chiedi se quella che hai vissuto finora sia stata veramente vita.
Vi trovai gli scritti clandestini di Teilhard de Chardin, le idee sociali dell’arcivescovo Suhard, che tentava di approcciare il pianeta operaio, lontano anni luce dall’aria irrespirabile delle sacrestie.
Non lasceresti mai, sul lungofiume, i marciapiedi umidi dove incontri indifferentemente la modella d’alta moda e il barbone che ti ferma per la sigaretta e comprendi, finalmente, la canzone di Prévert, la Senna che scorre via, fregandosene delle bellezze e miserie di Parigi.



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