Pubblicato da fabrizio centofanti su marzo 19, 2012
da qui
Quante volte m’hai fatto soffrire, padre mio,
e quante sere ho scoperto che non ce la facevo
a diventare perfetto come te, tutto d’un pezzo.
Se potessi vederti un giorno ancora, in barba al tempo,
se non fosse che il cielo è almeno tanto lontano
quanto il vestito grigio e la cravatta annodata dalla mamma
in ansia per l’aereo, per il solito squillo che tardava;
se non fosse che rimane solo il buio, la notte, invano
come tramite del nostro estremo appello, direi
proviamo un’altra volta, diciamoci le cose
che non abbiamo avuto il modo, no, il coraggio
di dirci: lasciamo che il messaggio sia soltanto
il cielo, a riflettere lontano il nostro pianto nel raggio
della luna, nell’aiuola, già piena di rose.
