da qui
Marco, dalla scrivania, può vedere la fontana. E’ avvolta da una luce gialla che addolcisce ogni dettaglio, come fosse oro fuso che precipita in un’acqua verde menta. Le statue di Oceano, della Salubrità e dell’Abbondanza, il cocchio trainato da cavallucci marini e da tritoni, lo colpiscono al cuore: comincia a scrivere, le dita scivolano sui tasti senza interruzione, come il ventaglio d’acqua che si getta nella vasca formando immagini di schiuma simili ad alberi, a case, ad animali. E’ il mondo rovesciato del sogno, l’unico capace di suscitare in Marco un guizzo, un interesse, dopo che la vita gli ha presentato il conto salato della delusione. Quante volte ha provato a lanciare le monete, con le spalle alla fontana, sperando in un colpo di fortuna; e vedendole poggiate sul fondo, nel luccichio di stelle che pare il presagio di un successo – o almeno uno sprazzo di chiarezza nel buio che lo ha sempre circondato – gli veniva da pensare che sarebbe stato lo scatto decisivo, come quello dei tritoni o dei cavalli che ora si lanciano incuranti del passato, sicuri di afferrare il destino per il verso giusto, e invece, macché! non succedeva nulla, faceva la fine di Marcello Rubini-Mastroianni convinto di conquistare Sylvia-Anita, dopo averla portata proprio qui, dopo essersi illuso di cambiare, prima di ricevere uno schiaffo, davanti alla folla dei reporter, dal fidanzato dell’attrice. Ecco, è lo schiaffo il simbolo della sua esistenza. Marco rilegge ciò che ha scritto: lo attraversa un brivido dalla punta dei capelli fino ai piedi; ogni volta che le guarda da lettore, le pagine gli appaiono insulse come monete ingoiate dalla vasca, come se fosse un altro a scorrere gli occhi sullo schermo, un uomo seduto accanto ai lampioni di San Marco o al gotico abbagliante di Ca’ d’Oro e Cannaregio, non più lo scrittore che contempla l’oro fuso precipitato nel verde della Dolce Vita, ma l’esploratore veneziano che cerca nei sogni qualcosa che non trova e – dovrebbe riconoscerlo? – forse non esiste.