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“1975″ – recensione di Pasquale Vitagliano.

Creato il 03 giugno 2011 da Fabry2010

“1975″ – recensione di Pasquale Vitagliano.

1975 Nonostante Paolini, e purché Buzzanca non lo sappia, al liceale piacciono le donne, Franz Krauspenhaar, Caratterimobili, Bari, 2010

“Ci sono ragazzini segnati da un’epoca. E poi ci sono scrittori che segnano un’epoca”, si legge in copertina. Ragazzini e scrittori hanno bisogno di un luogo per segnare un’epoca. Il luogo di FK è la Milano di piombo degli anni ’70, rigata dalle lacrime degli scontri fra ragazzi di sponde politiche opposte – apparentemente divisi tra il gallismo di Buzzanca, che in quegli anni imperversava nei cult-movies di serie B, e la disperazione di Pasolini,  scandaloso ed eretico persino a sinistra – ma accomunati dalla infantile e ingorda voglia di sesso. Sesso, droga e rock’n roll.

L’età della propria adolescenza è sempre e per tutti un momento magico. L’età dell’oro della propria esistenza. Poi, lo show è terminato. Sono arrivati l’Aids, le Comunità terapeutiche e la disco music. “Io non avevo avuto nell’infanzia leggendaria un Friuli, né altre amenità paesaggistiche, ma un carsico cemento onnipresente. Sempre questa prima periferia milanese, il primo girone infernale della maledetta ragnatela urbana, nella quale mi aggiravo da sempre come un alieno”. Solo chi è arrivato a Milano da chissà quale sud d’Italia, dentro quello spazio, come fosse cascato dentro un quadro di Mario Sironi può comprendere realmente il grado di alienazione umana che la descrizione di Krauspenhaar sottintende.

Il 1975 è stato un anno singolare. La maggiore età scende a 18 anni. E’ l’anno del temuto sorpasso del Pci sulla Democrazia Cristiana. Il 29 settembre è il giorno della strage del Circeo. Eugenio Montale vince il premio Nobel, mentre la Juve vince lo scudetto. Eppure il libro di FK non è un libro generazionale. E’ un romanzo-vita, anzi, azzardo, un profilo facebook stampato. La sua scrittura ribalta l’assunto della meta-letteratura. Passa dalla letteratura oggetto dello scrivere alla letteratura soggetto della vita. Senza suggestioni decadentiste, perché l’iper-testualità ha preso il posto della logorata “vita come opera”.  Una forma di iper-scrittura o di cyber-letteratura, che tende ad eliminare ogni mediazione con la realtà, nello stesso istante in cui moltiplica le fonti di mediazione. La scrittura finisce per influenzare la vita, diventa realtà essa stessa.

Nel caso di 1975 questo è vero già a partire dalle iniziali dell’autore. FK rimandano per riflesso automatico al grande scrittore boemo e al protagonista del Processo. Lui invece è Franz Krauspenhaar, milanese, di padre nato nella regione tedesca dei Sudeti, ma vita e scrittura si impastano dentro un profilo ricchissimo di rimandi, anzi di tags. FK. Il compagno (o camerata) di scuola Bagnozzi “è il primo della storia che mi chiama con le iniziali. Fa figo, fa personaggio, attore di Hollywood. J.R. deve ancora nascere e io sono il suo piccolo apripista. Un piccolo mostro. E’ intelligente ma non si applica”.

Vita e letteratura si tengono bene. Si sono tenute bene per trentacinque anni. FK è riuscito a mettere insieme Buzzanca e Pasolini lungo “il cordone frastagliato che tiene a sé le esperienze umane”. Chi è Lando se non uno dei ragazzi di vita di Pierpaolo? Oppure uno dei poliziotti di Valle Giulia, figli di proletari, con il muso messo contro le belle facce degli studenti, figli di borghesi. “Sarebbe stato bello un corteo sporco e grottesco di PPP su Valle Giulia. E a un tratto, nella calca delle cariche, il primo piano del celerino Lando Buzzanca, con la bocca spalancata dallo stupore”. Se non ci fosse stata la Letteratura, anche FK forse avrebbe bruciato per sempre la propria esistenza dentro un dei ruoli, vittima o carnefice, che in quegli anni, potenti e cattivi maestri dispensavano fra ragazzi, tutti uguali e tutti innocenti, “in un mondo convenzionale e sciatto, senza troppi guizzi”.

“Alle soglie dei cinquant’anni, acciaccato come altri ma per nulla stanco di percorrere questa nostra strada che sentiamo così nostra, avverto la mia disperazione come una sfida, che solo la vitalità può cogliere. Se la felicità esiste soltanto in morsi, presi di tanto in tanto con la volontà di vedere gli astri di un luminoso riscatto, la vitalità, disperata quanto può essere, è tutto ciò che veramente abbiamo. E la teniamo, stretta a noi, come un regalo”.

La letteratura è stata per molti un pharmakon, sia quella letta, che quella scritta. La letteratura non ha solo salvato FK. Ha salvato anche tutti noi che siamo stati ragazzini in un epoca fatta solo per essere adulti.

Pasquale Vitagliano



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