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1988, featuring Tracy Chapman, Toni Childs e Michelle Shocked
Creato il 10 settembre 2011 da RestoinascoltoSpazio dunque all’esordio omonimo di Tracy Chapman. La cantautrice di Cleveland se ne uscì con un disco che spiazzò non poco sia la critica che il pubblico considerata la sua giovane età, rispetto ai testi davvero forti delle sue canzoni, attraverso i quali ha parlato di rivoluzione, di violenze domestiche, di razzismo, ma anche di fuga dalla triste realtà in cui è cresciuta. Uno spaccato folk di 36 minuti in cui nessuna delle 11 canzoni risulta fuori posto (Talking About the Revolution, Fast Car, Baby Can I Hold You, Mountain O’ Things forse con una marcia in più, forse); strumentazione ridotta ai minimi termini (in Behind the Wall addirittura solo con la voce) ma di cui non si sente assolutamente la mancanza. Chapeau, dunque, per la Chapman, che non è riuscita più a ripetersi, però, a quei livelli.
E se la Chapman, in quell’anno, tentava di tracciare una nuova linea di partenza del folk femminile, c’era chi giocava con i nuovi ritmi della cosiddetta world music grazie anche a personaggi quali Peter Gabriel, che, per valorizzare i volti nuovi della musica internazionale, aprì addirittura, una etichetta tutta sua. Toni Childs tentò di seguire quella corrente, riuscendo piuttosto bene, con il suo primo album Union, nel suo tentativo di dare una nuova e personale versione dei ritmi provenienti dall’Africa (il suo particolare e notevole timbro vocale le diede una grossa mano in questo). E sebbene, la Childs riuscì a far breccia nei cuori e nei timpani del pubblico, con le canzoni più movimentate (Don’t Walk Away, Stop Your Fussin’) il meglio del disco l’ho trovato decisamente nelle canzoni più cupe e dolenti quali Dreamer, Walk and Talk like The Angel e Where’s the Ocean. Come la Chapman, anche per la Childs i successori di Union non furono all’altezza dei suoi esordi lasciando di lei e dell’album, un bel ricordo e nulla più.
In rigoroso ordine alfabetico chiudo lo spaccato “ottantottino” tutto al femminile con un piccolo capolavoro firmato Michelle Shocked dal titolo Short Sharp Shocked. Disco in cui il folk, il blues e lo swing riescono a convivere in una perfetta armonia musicale. L’iniziale When I Grow Up è la prima delle 11 perle contenute nell’album con una sezione ritmica che sembra provenire dalla giungla e un’armonica blues che sembra uscita da The Big Heat di Stan Ridgway. E così a seguire sonorità più spinte verso il folk e legate all’album d’esordio The Texas Campfire Tapes (Memories of East Texas, The L & N. Don’t Stop me Anymore e la meravigliosa Anchorage) rockabilly anni ’50 in Hello Hopville, folk swing tiratissimo in Making the Run to Gladwater e If Love Was a Train, un blues cantato a tarda sera nella prigione di Folsom (Graffiti Limbo). L’album si chiude ufficialmente con la canzone n. 10, una languida Black Widow che corona degnamente un viaggio di ricordi e carezze, se non fosse che subito dopo arriva la traccia nascosta e senza titolo che è uno schiaffo punk di 2 minuti che ti riporta immediatamente alla realtà. Per la sig.ra "Captain Swing" fu centro pieno.
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