Sulla strada già da alcuni anni si era stabilita una congregazione di conversi, forse sotto la regola di San Agostino (ma di questo nessuno era certo), che faceva opere di penitenza e di misericordia verso i pellegrini che venivano a piedi da Levante o sbarcavano dal fiume provenienti da San Marco. Ai conversi era affidato lo xenodochio di San Pietro, che offriva un pane, una zuppa, un letto, una buona parola, a chi aveva bisogno di riposo e cure. La congregazione, confermata nei suoi obblighi dal privilegio del vescovo Manfredo, a cui tutti dovevano obbedienza e fedeltà, animava la vita della pieve, e tuttavia per molto tempo era rimasta senza una guida residente, un presbyter ad essa assegnato.
Lo xenodochio e la congregazione, infatti, inveniebantur nella stessa pieve da cui or da alcuni anni era stato cacciato con grande vergogna e con una rivolta di popolo il Pievano Ruperto, che era solito vantare di se stesso davanti ai maggiori della città, con parole e vane gonfie come otri riempiti di acqua putrida, di essere come il cronachista delle Infelicità dell’Uomo, la consolazione delle quali viene scambiata per profondità ed è invece un’ebbra condizione. Egli era invece uomo di coltello, di mali fatti, di più mala condizione e misleale, di cui non potere alcuna fidanza avere, che teneva una donna come concubina senza preoccuparsi di dissimulare lo scandalo, e che le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri.
E d’altra parte lo xenodochio e la congregazione inveniebantur in medio hereticorum. Contatti e abitudini di frequenza erano quotidiani in quel borgo con i Giudei delle botteghe, coi Gazari, coi Pauperes de Lugduno, cogli Arnaldistas, coi molti Humiliati che continuavano a vivere, privi di una regola riconosciuta e approvata, nelle case del contado, anzi sostenendo e predicando in pubblico che la sola penitenza sufficit, né ha bisogno di sottomissioni. E così accadeva che costoro tenessero per sé una vita senza disciplina, quasi che fossero essi stessi a stabilire il giusto e il male, e disprezzavano i culti e i sacramenti, e stabiliva ognuno la sua propria regola, tanto che alcune comunità accoglievano donne che per consuetudine detestabile e perniciosa, quasi oves errantes, volevano condurre vita religiosa senza sottomettersi alla regola di San Benedetto, o a quella di San Basilio, o di San Agostino. Oh, peste ben più subdola di quella aviaria!
La casa di Enrichetto Bestia, a circa quattro miglia dal borgo in direzione di Contrada della Berta, era sede di una numerosa comunità di questa sorta, e molti dicevano che a passare nei pressi si udivano uomini e donne cantare e avere diletto, trascorsa bene l’ora del vespro! La gente del borgo aveva preso a chiamare homines et mulieres de domo Bestia col nome di “Buei” [termine non presente in Du Cange e in Forcellini, n.d.c.]. Spesso i “Buei” venivano confusi con i “Confratres et Sorores Luamares” [altro termine di dubbio significato, n.d.c.], che invece si recavano in civitatem Civetiensem dal contado di Longare, professavano la fede e il culto da essi stessi assicurato essere “il primato delle Chiese Popelicane Orientali” e dei quali nessun vescovo aveva riconosciuto l’ortodossia. I “Luamares”, mixta communitas, allevavano porci e portavano al mercato salsicce e soppresse, e carri traboccanti di fertile letame, essendo stati capaci di tenere la pestilenza animale lontano dalle loro terre (alcuni pensavano per effetto di sortilegi). Mettevano in comune tra di loro qualsiasi cosa: possessiones, fructus, redditus, bestias et alia bona (alcuni sussurravano: mulieres etiam!). Ripetevano sempre che «Gesù non ebbe possesso di alcuna cosa singulariter, ma a lui solo fu dato il mondo tutto, le cose, gli animali, gli uomini», e altre parole non proferivano. Conducevano i loro commerci per mezzo di scambi e impegni di servizio e preferivano evitare il contatto con il denaro, e se maneggiavano qualche moneta, correvano poi subito a lavarsi con cura alla più vicina fontana.
(continua…)