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20 novembre 1945: ha inizio il Processo di Norimberga

Creato il 19 novembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

In guerra (e in amore) tutto è lecito, si dice. Almeno fino alla fine del secondo conflitto mondiale, in seguito al quale gli sconfitti dovettero pagare per le azioni commesse. Crimini di guerra, crimini contro la pace, crimini contro l’umanità: furono queste le accuse imputate ai superstiti tra i gerarchi nazisti dopo il crollo del Terzo Reich hitleriano. Eliminazione dei prigionieri, aggressioni a nazioni alleate, deportazioni, persecuzioni, creazione di campi di sterminio. I tedeschi pagarono per le proprie colpe tra il 20 novembre 1945 e il 1 ottobre 1946, arco di tempo in cui il Processo di Norimberga optò per 3 ergastoli e 12 pene di morte, oltre ai numerosi anni di detenzione.

Ma come presero le proprie difese i responsabili della Shoah? A grandi linee, le modalità con cui tentarono di respingere le accuse furono tre:

in primo luogo, una gran parte di coloro che furono chiamati in giudizio provarono ad attribuire tutte le malefatte al solo Adolf Hitler. In molti, infatti, si presentarono al Processo di Norimberga come diligenti ed obbedienti interpreti delle direttive ricevute dall’alto. Per quanto banale e prevedibile, tale posizione fu in qualche modo confermata dall’esperimento Milgram. Psicologo sociale statunitense, Stanley Milgram selezionò un campione di 40 individui di sesso maschile di età compresa tra i 20 e i 50 anni. Con la complicità di un attore-vittima, i soggetti (insegnanti) erano invitati ad applicare scariche elettriche di intensità sempre crescente al finto paziente (allievo) che non rispondesse in maniera corretta alle domande postegli. Nonostante gemiti e lamenti, un buon numero degli insegnanti, sotto esortazione del ricercatore, andò ben oltre le capacità di sopportazione dell’allievo. In tal maniera Milgram dimostrò che l’uomo, indipendentemente da un’indole bellica o pacifica, è per natura soggiogato dal rispetto dovuto ad una figura autoritaria e spinto ad agire secondo le pressioni di un personaggio di rilievo;

il secondo caso, unico nel suo genere, è quello espresso da Albert Speer. L’architetto collaborò con Hitler per la realizzazione dei campi di concentramento, sfruttando la manodopera gratuita proveniente dai deportati. Egli al Processo di Norimberga ammise le proprie colpe, ma cercò una attenuante affermando di non essere al corrente del fine delle strutture da lui ideate. Condannato a 20 anni, venne rilasciato nel 1966 e scrisse alcuni libri. Per suo (taciuto) volere, molti dei ricavi furono destinati ad associazioni di assistenza ebraica. Successivamente egli morì a Londra esattamente 42 anni dopo lo scoppio del conflitto, il 1 settembre del 1981. Tuttavia, dopo la sua morte, furono ritrovati documenti che presentavano la firma proprio di Albert Speer, nei quali erano esplicitamente menzionati i forni crematori e per i quali egli avrebbe scontato una pena superiore;

il terzo ed ultimo approccio nel contesto del Processo di Norimberga fu quello portato da Hermann Göring. Luogotenente di Hitler, il numero due -con Goebbels- dello stato nazista fu condannato a morte per impiccagione. Egli, dal canto suo, chiese di poter scontare la pena mediante fucilazione. La richiesta fu respinta e Göring affermò di non riconoscere il Processo. Probabilmente con l’aiuto di un ufficiale statunitense, Göring riuscì a suicidarsi ingerendo una capsula di cianuro qualche ora prima dell’esecuzione, rifiutando così il verdetto (il suo corpo venne comunque simbolicamente appeso al cappio). Per quanto indifendibile e meritevole di condanna, Göring vi si oppose poiché la presenza di soli Alleati tra i giudici non rese totale giustizia. Furono, infatti, soltanto gli sconfitti a scontare i crimini commessi, mentre i vincitori non ricevettero alcun biasimo per le loro azioni. Esempi lampanti di ciò sono il bombardamento da parte degli inglesi il 15 febbraio 1944 sull’abbazia di Montecassino, erroneamente ritenuta una base militare tedesca, con gravi danni da un punto di vista demografico e culturale, e lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki il 6 ed il 9 agosto 1945. Se si considera che il 30 aprile Hitler si era tolto la vita e la guerra era ormai conclusa, allora la distruzione delle due città nipponiche costituisce mera barbarie, indiscutibilmente punibile come crimine contro l’umanità. Ma, si sa, la storia è scritta dai vincitori e in guerra non esiste una giustizia completa, Processo di Norimberga compreso.

Tags:Albert Speer,crimini di guerra,Hermann Göring,Processo di Norimberga,seconda guerra mondiale,Shoah,Terzo Reich

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