Continua il nostro "tour" per riscoprire il 2010. Un appuntamento che proporremo per tutti il periodo estivo (tutti i sabato) e se vi garba continueremo anche una volta finita la stagione. Andremo a ripercorrere il 2010 attarverso i dischi più significativi. Ogni volta presenteremo 5 album che sono legati da un sottile filo. Le altre volte come filo conduttore abbiamo scelto l'elettronica, la musica classica e il post-punk. Questa volta abbiamo deciso di andare a pescare quei dischi che si sono distinti per aver utilizzato il violino in maniera egregia nei vari generi dal rock, al pop al folk. Per questa tornata ve ne presentiamo sei.
LET ME COME HOME – BROKEN RECORDS. Eccolo uno dei dischi dell’anno. Molto probabilmente finirà al primo posto nella mia classifica personale, salvo dischi in uscita a novembre e dicembre. 10 pezzi e uno più bello dell’altro. Se dobbiamo farla semplice potremmo dire che è un’ottima band indie-rock-folk. Se vogliamo entrare nello specifico diremmo che ricordano molto gli Arcade Fire ma con un suono più articolato e complesso e forse dalla vocalità più graffiante; inoltre sanno creare quella magia che fa molto Radiohead. Questa band scozzese, anche grazie alla capacità espressiva della musica rispetto ai testi, riesce ad emozionare attraverso composizioni suonate e cantate in modo ineccepibile. Quasi superfluo andare a commentare canzone per canzone, considerato che l’unica parola che uscirebbe fuori è awesome! A leaving song mantiene per tutto il tempo tonalità nervose ed è un crescendo di voce e musica che perfettamente rappresenta l’inquietudine e l’irrequietezza dello stato d’animo. Violini e piano intervengono nella perfetta, malinconica, cupa ma veloce modern worksong. In dia dos namorados la strada si fa più cupa con la batteria che fa da metronomo e la voce femminile che accompagna il cantante del gruppo: altro pezzo spaventoso (nel senso più positivo del termine) che crea un climax non indifferente. Epica e triste anche the motorcycle boy reigns dove Jamie Southerland da il meglio di se. Dai toni più solari e più veloce è invece A darkness rises up che risulta essere molto evocativa per antitesi rispetto alle parole del testo. Brividi allo stato puro per aliene dove il violino ancora una volta da un tocco di qualità e sul grido “Don’t give up” i brividi sono inevitabili. Suggestiva I used to dream dove ancora una volta si intrecciano piano e violino, mentre di tutt’altro stile è la seguente you know that you’re not dead, vivace e graffiante, anche se forse è la meno bella del disco. The cracks in the wall è la canzone che prende una direzione più folk ma ha un’intensità ed emotività che mantiene il livello di tutto l’album; la conclusione è affidata alla stupenda home che riassume il tema del disco e fa tremare dalla pelle d’oca che provoca.
THE SUBURBS - ARCADE FIRE. VOTO 9. Terzo album per questa grande band indie-pop-rock, una delle poche che è riuscita a marchiare a fuoco il decennio appena trascorso con il Capolavoro Funeral e l’ottimo disco Neon Bible. E con questo terzo disco si confermano una grande band, nonostante mi piaccia meno dei due precedenti. Il disco inizia col ritmo scanzonato di The Suburbs che introduce un po’ il tema del disco. Subito dopo c’è uno dei migliori pezzi dell’album ovvero ready to Start dal ritmo incalzante e suonata magistralmente. Una critica alla contemporaneità arriva con Modern Man, pezzo piacevole con uno stile molto “old” e a ruota un altro gran bel pezzo “Rococo” che delinea scenari sognanti e spensierati e un suono che cresce in modo devastante. Curatissimo questo disco, lo si può notare dalla ritmata e coinvolgente “Empty Room” (con la presenza della voce femminile) e dalle due splendide Half light, due dei momenti più intensi del disco. Bellissima la successiva Suburban War col il suo progredire ed “esplodere” nel finale; al contrario non mi entusiasma più di tanto la “nervosa” Month of May. Il disco si riprende subito con un trittico (Wasted Hours, Deep Blue e la incantevole We used to wait) pregno di emotività e originalità che contraddistingue questa fantastica band. Apprezzabile anche l’ipnotica SPrawl I, uno dei tanti momenti in cui la voce di Butler va magnificamente il suo lavoro. Ho apprezzato meno Sprawl II, che rimanda (con tutte le dovute misure) a sonorità anni 80. L’album si chiude con il “continuo” della prima canzone. In conclusione, un ottimo album e per quanto mi riguarda me finora si piazza in seconda posizione nella classifica del 2010, però se dovessi dare un voto in riferimento alla discografia generale il voto di quest’album starebbe sul 7,5/8, considerati anche i loro lavori precedenti. A mio parere la prolissità eccessiva (in riferimento al numero delle tracce) ha portato ad inserire 2-3 pezzi sicuramente evitabili e di questo l’album ne ha risentito, nonostante stiamo comunque parlando di altissimi livelli. Uno dei migliori di quest’anno.
BORN AGAIN – BLOOD AXIS. I Blood Axis sono una band che si può collocare fra il neofolk e il post-industrial e in più in generale in quel calderone della musica sperimentale. Nonostante i 21 anni di attività fra EP e collaborazioni, questo born again è il secondo album in studio (a 12 anni dal primo). Essendo il primo contatto che ho con questo gruppo (e ripromettendomi di recuperare presto il resto) il mio commento quindi sarà privo di paragoni con lavori precedenti. Invocatio getta subito le basi del disco, con un suono quasi “dronico” e suggestive che ricorda una sorta di invocazione. Song of Comrade è uno spoken words accompagnato da una fisarmonica e da incessanti beat industriali che fanno e un testo particolarmente intenso (“If you fall I will discover the oasis of ice for both of us”). Segue Madhu, la canzone più eclettica del disco, che inzia fra cornamuse, prosegue in modo tetro con la voce di Moynihan che traghetta la canzone fino alla fine che si caratterizza fra violini in loop che creano atmosfere psichedeliche. Wulf and weacer è un pezzo lento dove dopo una piccolo distorsione iniziale, viaggia quasi (apparentemente) in maniera distesa, con i violini sempre protagonisti. The Dream è difficile da commentare perché davvero molto emozionante ed evocativa anche grazie al suo andamento epico. Ritona uno spoken words più marcato con Hard Iron Age e una musica che riesce completamente ad integrarsi e a rendere molto d’impatto il pezzo. Churning e Churning è un’altra ballata, forse la mia preferita per il violino più tagliente e incisivo. Arriviamo ad un’altra punta del disco con Vortex, con pianoforte estremamente inquietenante. Erwachen in der nacht mi provoca lo stesso effetto di The Dream. Il disco chiude con la spettacolare The PAth (duetto voce machile e femminile) e l’altrettanto straordinaria Born Again, dallo stile mlto medievale. Sulle stesse tonalità di Invocatio, che mette il sigillo su questa perla del 2010.
SILVER MT ZION - Kollaps Tradixionales .Qust'album sconvolge in maniera positiva per l'intensità uniche di tutte le sette tracce che lo compongono. Un misto di post-rock e psichedelia che si unisce bene alle sonorità orchestrali. Consigliatissimo e da ascoltare tutto d'un fiato.
FEAST OF HUNTER'S MOON - BLACK PRAIRE. VOTO 8. Un disco che vede nell'armonia il suo principale pregio. Tra le migliori novità dell'anno passato (e non solo nell'ambito folk), l'esecuzione tecnico-strumentale sfiora la perfezione e su tutti spiccano fisarmonica e violoncello.La formazione vede Jenny Conlee, Chris Funk and Nate Query dei Decemberists con i musicisti folk Annalisa Tornfelt e Jon Neufeld: ne viene fuori un mix eclettico di bluegrass tradizionale and suoni dell'Europa Orientale. Tango Oscuro e Red Rocking Chair i migliori momenti dell'album.
Miniplaylist (1 pezzo per ogni album):
Aliene - Broken records
Sprawl I - Arcade Fire
Born Again . Blood Axis
I built my self a metal bird - Thee Silver Mt Zion
Night Song - Shady Bard
Red Rocking Chair - Black Paririe