Giovanni Vinciguerra – Direttore Tuttoscuola
Relatori:
Sebastiano Bagnara - Ordinario di psicologia ed ergonomia cognitiva al Politecnico di Milano Paolo Cortigiani - Dirigente Scuola Media Statale "Don Milani - Colombo" di Genova Claudia Donati - Responsabile area Scuola del Censis Silvano Tagliagambe - Ordinario di epistemologia del metodo all'Università di Sassari
Moderatore:
Raffaello Masci - Giornalista de "La Stampa"
Vinciguerra: Il titolo che abbiamo scelto per questo convegno "2015, fine della scuola?", è una domanda dal sapore vagamente provocatorio. Anzi volutamente provocatorio. E in fondo paradossale. E’ un paradosso pensare che nel breve arco di un decennio l’istituzione scuola come la conosciamo oggi e come si è sviluppata nell’ultimo secolo possa "finire".
Ma questo non può far indulgere a un sereno ottimismo, non implica chiudere gli occhi e anche le orecchie davanti a fenomeni e tendenze ormai ben visibili e documentabili.
Si tratta di tendenze per le quali non è difficile pronosticare degli effetti rilevanti sul modo di fare scuola, sui compiti che la società richiederà ad essa in futuro. Sono in atto dei cambiamenti a livello economico, sociale, geopolitico che metteranno seriamente in discussione l’istituzione scuola come la conosciamo oggi e il rapporto docente-alunno: un rapporto che forse non a partire da domani, ma già da oggi è diventato più complesso. Non ci riferiamo solo, lo dico subito, alle nuove tecnologie, che pure rappresentano un fattore di cambiamento radicale, ma ormai ben noto. Ci riferiamo ANCHE ad esse, ma pure ad altri fenomeni, di natura e intensità diverse, la cui concomitanza fa accendere tante spie rosse, che insieme generano – immaginiamoci nella cabina di pilotaggio di un aereo - uno stato di pre-allarme, chiamiamolo così. Fenomeni in taluni casi meno noti, o comunque non tutti messi in relazione con il contesto formativo: il tasso di invecchiamento (della società e degli insegnanti), la multietnicità, la concorrenza di altre agenzie e luoghi formativi, il malessere e la crescente disaffezione di molti insegnanti, per citarne alcuni.
**** Siamo partiti nella nostra analisi da un dato, che ci ha fatto scattare alcune domande. Si tratta, per meglio dire della contrapposizione tra due dati, che generano un contrasto stridente: se si fa una proiezione a dieci anni delle figure del docente e dello studente, si scopre che circa l’80% dei docenti del 2015 è già in servizio oggi. Degli 820 mila docenti, di ruolo e non, di oggi, circa 635 mila saranno ancora in cattedra tra 10 anni. Ma lo studente del 2015 sarà profondamente diverso da quello di oggi, molto più di quanto quest’ultimo non sia rispetto a quello di dieci anni fa.
Se già oggi il modello del docente tradizionale comincia a "stare stretto" allo studente curioso, inserito nel proprio tempo, cosa succederà tra dieci anni allo stesso docente che si troverà di fronte un adolescente ancora diverso, che avrà interiorizzato sia il progresso tecnologico, sia la società multirazziale e globalizzata?
Insomma, se la scuola non si adegua rischia di essere tagliata fuori, di "non servire più" alla società che dovrebbe formare e rispetto alla quale offrirebbe modelli superati. L’adolescente del 2015 accetterà di dedicare ad essa tanta parte del suo tempo? E’ sufficiente che lo studente-tipo guardando un giorno chi sta dietro la cattedra arrivi a chiedersi: "ma cosa ha da insegnarmi quella signora?". E certo non aiuteranno l’aula scrostata e il banco rotto, teatro triste del fare scuola. Il rischio è quello di una nuova frattura generazionale, diversa da quella del ’68, non più a carattere ideologico e politico, ma basata sull’insofferenza dell’adolescente di domani, sulla perdita di credibilità e di senso dell’istituzione scuola, sulla sua incapacità di comunicare se stessa, di usare linguaggi e strumenti diversi. Se questi sono rischi concreti, cosa può fare la scuola per evitarli? Ci sono i tempi tecnici per prepararsi? Il 2015 è una data non così vicina da ancorare le previsioni evolutive agli assetti esistenti, ma neppure tanto lontana da rendere immaginaria qualunque ipotesi sui cambiamenti futuri.
Nel giro di un decennio gli scolari nati nel terzo millennio, cresciuti in un "brodo tecnologico" con computer palmare e videotelefono, connessi a internet dalla nascita, abituati al compagno di banco straniero, ad essere giovani in una società sempre più anziana, come guarderanno il loro "prof."? Cosa si aspetteranno da lui, potendo già contare su potenti strumenti alternativi di conoscenza e di informazione e su innumerevoli stimoli, quali avranno a disposizione nell’era, ormai dietro l’angolo, della banda larga e della piena integrazione TV-telefono-PC?
Le direttrici del cambiamento
La prima è:
- Il gap multimediale: si allarga il divario tra le abilità informatiche di un cinquantenne e di un 14enne. Tra dieci anni un bambino delle elementari potrebbe possedere una competenza informatica superiore a quella della maestra. Quale impatto avrà sul loro rapporto?
Si calcola che il gap tecnologico che esiste oggi tra una persona anziana e il proprio nipote, è molto più consistente di quello che c’era una volta tra un anziano completamente analfabeta e il nipote che andava a scuola. E andando molto più indietro nel tempo, se tra noi e gli antichi romani ci separano circa cinquanta nonni, si può sostenere che non ci sia mai stato in tutto questo arco di storia un potenziale gap tanto ampio tra un nonno e un nipote come quello di oggi e dei prossimi anni. Quale l’origine di questo gap? La scuola ha finora educato all’analiticità, avvalendosi massicciamente dei libri di testo. E la stragrande maggioranza degli attuali insegnanti (che saranno in servizio anche nel 2015) si è formata sui libri. I giovani, i giovanissimi e ancor più le prossime generazioni, cresceranno invece in una realtà sempre più multimediale, orizzontale, reticolare, iconica. Il mondo della scuola riuscirà a colmare il gap che già oggi si nota tra il modello culturale (e pedagogico) monomediale del suo passato-presente e quello multimediale richiesto dall’evoluzione tecnologica e sociale del nostro tempo? Se non si saprà adattare, non solo, ma reinterpretare in chiave critica e propositiva i nuovi modelli, potrebbe finire per perdere gradualmente la sua ragione sociale.
- Studiare a casa e non a scuola? Già oggi negli Usa, società per molti versi proiettata nel futuro, 2 milioni di studenti non studiano a scuola. Sono gli "homeschoolers", il cui numero è cresciuto rapidamente (erano solo 20.000 negli anni settanta) soprattutto da quando le nuove tecnologie hanno consentito di disporre on line di quantità imponenti di informazioni, materiali didattici, sussidi vari, accompagnati da programmi di assistenza individualizzata, forniti da varie imprese e organizzazioni.
http://pedagogikapress.blogspot.com/2011/08/laula-e-obsoleta-e-tempo-di-qualcosa-di.html
- Gli insegnanti "scoppiati": la categoria degli insegnanti è quella più esposta, tra i lavoratori, a una nuova malattia, nota come "burnout syndrome", o "sindrome dello scoppiato".
- Il tasso di invecchiamento: oggi in Italia ci sono più ultrasessantenni che ventenni. È la prima volta che accade nella storia dell’umanità. Per ogni 100 giovanissimi (età 0-14 anni), vi sono 130 anziani (65 anni e più). Nel 2015 vi saranno 153 anziani (182 al nord) ogni 100 giovanissimi. Solo 25 anni fa, nel 1980, il rapporto era capovolto: 58 anziani ogni 100 giovanissimi.
E in una società che diviene sempre più anziana, il microcosmo dei docenti è particolarmente anziano: quasi un docente su due ha più di 50 anni. La percentuale di docenti di età superiore al mezzo secolo ha raggiunto infatti nell’ultimo anno il 45%. Solo sei anni fa i docenti ultracinquantenni erano circa il 27% del totale.
L’età media di un insegnante di ruolo è oggi di 48 anni e mezzo. Sei anni fa era di circa tre anni inferiore. E il processo di invecchiamento della classe docente italiana, cui corrisponde una crescente femminilizzazione, non si ferma qui. Un lento turn over e assunzioni a singhiozzo fanno prevedere per i prossimi anni un ulteriore innalzamento dell’età media. Nel 2015 il gap generazionale, e quindi anche culturale con gli studenti si sarà ulteriormente ampliato. L’invecchiamento, viste le situazioni analoghe di docenti e dirigenti scolastici, è dunque un elemento caratteristico della scuola statale italiana che mette in risalto il fortissimo divario generazionale con gli allievi.
Genitori "giovani", docenti "vecchi"
A marcare un potenziale ulteriore distacco tra discenti e docenti, oggi e forse ancor più tra dieci anni, è l’allungamento del ciclo della vita. Come può impattare questo fenomeno sul rapporto tra ragazzi e scuola? L’allungamento dell’esistenza ha dilatato il concetto di giovinezza, con possibili ripercussioni rilevanti. Già oggi il genitore trentenne o quarantenne è considerato ancora giovane (fa sport, vacanze, conserva gli interessi che aveva prima). E’ spesso il primo "amico" dei figli (con effetti educativi in molti casi distorcenti). Ora, con una classe docente sempre più anziana, come abbiamo visto, la vicinanza generazionale tra genitori e figli può far risaltare negativamente la distanza generazionale – e quindi anche culturale e mentale – con gli insegnanti.
- La multietnicità: cinque anni fa gli alunni stranieri nella scuola italiana erano 85 mila (1% del totale alunni), nel 2015 saranno 617 mila (oltre il 6%, al nord il 12-13%), più di un terzo dei quali di religione musulmana.
- Mancano tecnici intermedi e laureati in scienze: molte aziende, non solo del Nord, lamentano l’insufficienza di laureati nelle materie tecnico-scientifiche, ma soprattutto la grave carenza di tecnici diplomati e postdiplomati (non laureati) in possesso delle competenze tecniche necessarie per sostenere la competitività.
Gli scenari OCSE per il 2020
Passate in rassegna alcune delle principali "direttrici del cambiamento" che possono mettere in crisi il modello di scuola tradizionale, può essere interessante riportare in sintesi gli scenari a quindici anni previsti da un importante osservatorio internazionale. L’OCSE, l’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo dell’educazione, ha svolto uno studio che presenta una serie di ipotesi sulle trasformazioni che i sistemi scolastici subiranno nei prossimi anni, in particolare per il 2020: un periodo quindi molto vicino a quel 2015 che abbiamo preso a riferimento per la nostra riflessione. Lo studio delinea tre possibili scenari. Il primo è quello della conferma dello status quo: mantenimento di un forte "controllo burocratico" sul sistema (curricoli, formazione e accesso alla professione, finanziamento) da parte di autorità pubbliche, con conseguente stabilità, accompagnata però da una possibile carenza di docenti. Il secondo scenario è quello della riscolarizzazione, cioè di un forte sviluppo del ruolo dei sistemi scolastici in termini strategici, sostenuto da adeguati investimenti. Il terzo scenario è quello invece della descolarizzazione, cioè dello smantellamento dei sistemi formali di istruzione e formazione, sostituiti da reti cooperative ("learning networks") gestite dalle comunità locali, o da una forte competizione tra agenzie formative e altri soggetti operanti in una logica di puro mercato. Questo terzo scenario potrebbe portare a "smantellare" la scuola, in particolare quella pubblica, così come la conosciamo oggi, approdando a modelli mai sperimentati e di cui non sarebbero conoscibili in anticipo gli effetti a livello sociale e culturale.
E’ evidente che l’assetto che avrà il nostro sistema di istruzione e formazione tra 10-15 anni dipende strettamente dalle scelte e dagli investimenti che si compiono e si pianificano ora.
Testo completo al link: http://www.tuttoscuola.com/cgi-local/disp.cgi?ID=3549