Pubblicato da fabrizio centofanti su aprile 6, 2012
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Vi state guardando: siete imbarazzati. Vi chiedete come sia possibile che i racconti nascano dal nulla, in un viaggio a Parigi dove pare di trovare una risposta, perché la vita è una domanda e a un certo punto s’intuisce un segno, un’indicazione misteriosa che viene nel sonno, cadute le difese che impediscono d’identificarti nelle storie altrui, come quando lo scrittore è davanti alla pagina e sente le parole che arrivano, da dove non si sa, le annota in fretta e furia, perché se gliene sfuggisse una finirebbe tutto, e basta niente per distrarlo: un rumore, il chiacchiericcio delle donne che preparano il pranzo per la pasqua, mentre lui trasforma desideri e incubi nelle file uguali delle lettere, incompreso, perché nessuno può capire chi capisce tutti, chi è in attesa di uno sguardo, un gesto sfuggito all’attenzione, un ti amo sussurrato nel buio galeotto di una sala; mentre gli altri si agitano sul palcoscenico, lui origlia alle porte, capta i segnali, coglie al volo gli oggetti che a un altro non direbbero nulla, ma a lui dicono tutto: un cappello di lana, una sciarpa color latte, gli stivali infilati dentro ai pantaloni, perché lei sapeva che gli piacevano così, e ogni volta l’abbracciava, davanti alla finestra, mentre scorrevano le note di Pezzi di vetro, Caruso, Mille giorni di me e di te. Sono i dettagli a catturare la curiosità, movimenti impercettibili con un’eco più forte a ogni giro di strofe, finché prendono forma, sono autonomi, si coagulano ed entrano nei sogni quando meno te lo aspetti, in un viaggio in cui ti addormenti e ti lasci raccontare, e quando riapri gli occhi ti accorgi di nuovo del vicino, e non sai che nel tempo in cui hai dormito hai vissuto la sua storia, ti specchi nel suo sguardo e ti chiedi come sia stato possibile vedere lo spettacolo del suo dolore, e racconti e comprendi che il romanzo è la chiave per uscire da se stessi, per dire le parole che l’altro non avrebbe osato confidarti e scopri che la letteratura l’ha inventata Dio, all’origine di tutto ha pensato a un racconto, accanto al fuoco, una storia che si ripete sempre uguale, ma ogni volta t’incanta, anche adesso che siete arrivati alla stazione di Parigi, nella piazza grande, e quasi non volete scendere, perché siete incatenati dal filo degli eventi, vicinissimi a quello che cercate, a strapiombo sulla meta, ai confini del paradiso, dove è difficile distinguere chi legge e chi scrive, chi ascolta e chi racconta, perché ogni storia è uno specchio in cui si riflettono i destini, il punto in cui si sciolgono i nodi intrecciati sin dall’alba dei tempi.