25 anni fa il primo naufragio di immigrati a Tarifa, Lampedusa di Spagna
Da Rottasudovest
"Il 1° novembre 1988 era un giorno grigio e nebbioso, a Tarifa. Era
martedì. Soffiava vento di Levante. I pescatori non uscirono, quel giorno. Alle
7.30 il paese continuava nel sonno prolungato della giornata festiva. Nessuno lo
sapeva, nessuno poteva saperlo, ma quel giorno avrebbe cambiato la vita di
Tarifa e della sua gente per sempre". Così inizia un articolo di andalucesdiario.es, che ricorda il primo naufragio di immigrati sulla costa
gaditana, giusto 25 anni fa in questi giorni.
Sulla spiaggia della cittadina, famosa per il vento e per i surfisti, venne
trovato il corpo di un giovane maghrebino, a poca distanza di una barca di legno
abbandonata. La Polizia locale lo prese per un contrabbandiere, uno dei tanti
che in quegli anni partivano dal Marocco per rifornire l'Europa di hashish
e tabacco. Ma il ritrovamento di cinque giovani maghrebini smarriti e impauriti
sulla strada, a poca distanza, mise le autorità sulle giuste tracce. A spiegare
cosa era successo furono gli stessi giovani a Ildefonso Sena, il giornalista che
ha fotografato il primo naufragio di emigranti a Tarifa e che ha fatto loro da
interprete, parlando francese. "I sopravvissuti gli raccontarono che non
erano trafficanti di hashish, ma che volevano arrivare in Spagna per cambiare
vita. Avevano pagato 35mila pesetas per salire sull'imbarcazione. Erano partiti
da Tangeri verso mezzanotte, a metà della traversata li sorprese una forte
burrasca di levante. "Quando si avvicinarono alla spiaggia di Tarifa,
guidati dalla luce di un benzinaio, credettero di poter sbarcare a piedi, ma
fecero un calcolo sbagliato..." traduceva Ildefonso Sena al capitano Prados
"Tra i tentativi di afferrarsi alla barca, i movimento e il fatto che non
sapevano nuotare, la barca finì con il girarsi su un lato e si salvarono solo
in cinque. Erano partiti in 23 da Tangeri"" scrive andalucesdiario.es.
I corpi degli annegati vennero restituiti mano a mano dal mare nei giorni
successivi.
"All'inizio pensavamo che sarebbe stata una cosa isolata, in quegli anni
passare la frontiera marocchina era generalmente complicato. Ma poiché
iniziarono ad apparire cadaveri costantemente, all'arrivare altre imbarcazioni,
iniziammo a dover contare sui maggiori mezzi della Croce Rossa e a stare allerta
tutti i giorni" ricorda Juan Triviño, allora dirigente della Croce Rossa a
Tarifa. Sotto il suo sguardo di uomo della solidarietà sono passati i corpi
annegati di donne, uomini, bambini, giovani. "Penso sempre che potrebbe
succedere alla mia famiglia e non dimentico" commenta.
In questi 25 anni Tarifa, come Lampedusa in Italia, ha cercato di rispondere al costante arrivo di giovani,
donne, bambini, uomini di ogni età, in fuga dalla fame, dalle guerre, dalle
dittature d'Africa, con strutture ad hoc. Una scuola trasformata in centro
d'accoglienza, la solidarietà della popolazione, che offre abbigliamento e
scarpe e che si slancia in mare ad aiutare chi è in difficoltà. Una popolazione che spesso trova i corpi di chi non è sopravvissuto
sulle spiagge, mentre pratica il surf o gioca al pallone, e che partecipa
attivamente nell'accoglienza dei sopravvissuti, perché magari ha visto il volto
disfatto di chi è annegato e la disperazione di chi è rimasto solo. E' una
solidarietà che non è venuta meno neanche quando le restrittive leggi spagnole
sull'immigrazione hanno trasformato in reato ogni aiuto dato ai sin papeles,
gli immigrati clandestini.
Quanti sono gli uomini, le donne e i bambini che hanno perso la vita, cercando
di attraversare lo Stretto di Gibilterra negli ultimi 25 anni? Non si sa con
certezza. Secondo le associazioni dei diritti umani andaluse non meno di 8mila. "Sono molti, troppi i
morti. E sono tanti quelli di cui non sappiamo niente. Ci sono imbarcazioni che
possono essere affondate e non lo sappiamo. Ci sono famiglie in Marocco i cui
figli sono partiti e che non hanno saputo più niente di loro. Sono migliaia, ma
quante migliaia, non lo so" dice Sena ad andalucesdiario.es
Pro Derechos Humanos de Andalucía ritiene che nel 2013 siano morti in 100 e che
in oltre 2mila siano arrivati sulla costa andalusa; sulla rotta delle Canarie
sono morti in 13mila dal 1999, anno dell'arrivo della prima imbarcazione. Sono
cifre che sembrano bollettini di guerra.
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