Anna Lombroso per il Simplicissimus
La tentazione era quella di fare copia incolla con un post degli anni scorsi, dei passati 25 aprile. O di starmene zitta, nell’accidioso malcontento che mi afferra a ogni commemorazione.
Ma stamattina mi è successo di leggere i commenti a uno scritto dolente di Sandra Bonsanti per Libertàgiustizia, ripreso da Repubblica, scoprendo una volta di più che c’è più paura della retorica che del fascismo, del ricordo che del comodo oblio, delle scelte e della responsabilità che del conformismo.
Così giovanotti che rivendicano di militare a tutela della Costituzione, magari senza averla letta, rimuovono modernamente che è la Carta uscita dall’antifascismo, anziani, che non l’hanno fatta perché magari erano stati incantati da altra professione di fede nel Guf, non ricordano che la Resistenza non era solo un’insurrezione contro l’invasore, ma il sogno di una società ispirata all’uguaglianza, alla libertà e alla solidarietà, oppositori che si esprimono preferibilmente nell’ombra delle urne, trascurano che oggi si festeggia la vittoria, precaria, sull’autoritarismo dispotico, sulla repressione di pensiero e critica, quella vittoria che permette a molti di dichiarare e sostenere sciocchezze bipartisan, falsità e infamie, in rete, in piazza, sui giornali, in tv con totale e indiscussa licenza.
Nel feroce sciocchezzaio e proprio in cima, vanno collocate, si sa, le diffuse attestazioni di moderna tolleranza, le proterve manifestazioni di indulgenza compassionevole e pacificatrice, preliminari a sordide alleanze elettorali e profittevoli scambi di favori, facilmente commerciabili quando a sostegno di sono poche idee e spesso molto confuse.
D’altra parte non siamo inclini a fare i conti con i regimi, presenti o passati, recenti o lontani. E nemmeno con la dignità, con i doveri e nemmeno con i diritti, se ci lasciamo espropriare con rassegnata indifferenza.
Così molti imbecilli temono che il ricordo dell’affrancamento, della conquista di una vulnerabile libertà, della riappropriazione di una fragile autodeterminazione e di una minacciata sovranità, attentino all’appartenenza alla contemporaneità, al godimento delle rutilanti opportunità dell’egemonia del mercato e alla potenza del profitto.
Come se l’illegalità, la personalizzazione della politica, la sopraffazione, il totalitarismo, il razzismo, la xenofobia fossero finiti con quella lotta e quella resistenza, terminate un 25 aprile che è preferibile seppellire insieme all’infamia cui avrebbe dovuto mettere fine. Come se allora si fosse messo fine a quel fascismo e impedito il suo ripresentarsi sotto nuove e dinamiche forme, adatte ai tempi moderni.
C’è una colpa collettiva nel non aver salvaguardato la memoria di allora, se non si sanno riconoscere le facce che interpretano il fascismo oggi, i modi dell’attuale corruzione, non molto diversa da quella che fece assassinare Matteotti, le fattezze dell’illegalità, sempre criminale come quella dei killer al servizio di Mussolini, l’avidità rapace di padroni, che ieri come oggi sono dediti all’accumulazione e alla rapina, l’assoggettamento della stampa, arresa ai ricatti e alle lusinghe. E se non riconosciamo qual è la parte giusta, perché aprile può essere il più crudeli dei mesi se dimentichiamo giustizia, dignità, libertà.