Il rischio delle giornate mondiali è sempre lo stesso, quello di concentrare la sensibilità su un determinato argomento per un giorno per poi tenerlo in un “auto-compiaciuto” dimenticatoio per i restanti 364.
La giornata mondiale contro la violenza sulle donne cade il 25 novembre, e non è un caso. Il 25 novembre del 1960 furono uccise, sotto la dittatura trujillista della repubblica dominicana, tre delle quattro sorelle Mirabal, a causa della loro dissidenza.
E’ doveroso ricordare i loro nomi: Patria Mercedes, María Argentina Minerva e Antonia María Teresa Mirabal. La quarta sorella, Bélgica Adela Mirabal-Reyes, all’epoca non direttamente attiva politicamente, morirà nel 2014 e il figlio, Jaime David Fernandez Mirabal, ha ricoperto la carica di vicepresidente della Repubblica Dominicana dal 1996 al 2000.
Oltre il dovere di cronaca, la storia delle sorelle Mirabal è emblematica. Con il loro assassinio Trujillo pensò di aver risolto il problema della dissidenza, ma questo episodio ebbe enormi ripercussioni nella società civile dominicana fino a culminare nell’assassinio del dittatore un anno dopo, nel 1961.
Da allora si può dire, non senza le dovute riserve, che la lotta per i diritti delle donne ha fatto passi avanti, anche se spesso e volentieri questo percorso trova nel quotidiano ancora tante, forse troppe, difficoltà.
Nel mondo il 35% della popolazione femminile tra i 17 e i 75 anni subisce violenze di vario tipo ma di eguale gravità. Sarebbe anche un errore pensare che gli episodi di violenza nelle società cosiddette “avanzate” riguardino donne di bassa estrazione sociale; è triste, quanto colpevole dover rammentare che tra le mura domestiche non ci sono ceti che tengano. Troppo spesso l’intimità diviene luogo di minacce e violenze che si consumano in una accettazione silenziosa e tragica.
L’Italia, famosa per rispettare le medie e le statistiche planetarie solo per occasioni spiacevoli, non si sottrae dalla sua triste tradizione. Dati Istat rivelano che nel Bel Paese sei milioni e 788 mila donne hanno subito violenza, in pratica una su tre. Per quanto in leggero calo rispetto agli anni passati, il dato resta inaccettabile per un paese civile. Dunque va da sé che non siamo un paese civile.
Piuttosto propagandistico e sminuente, sul versante delle attività lavorative o istituzionali, la trovata delle cosiddette “quote rosa”.
La competenze e le qualità lavorative non dovrebbero basarsi su una distinzione di genere: se qualcuno è capace è capace, non si dovrebbe badare al sesso, e una normativa che regolarizzi la percentuale di presenze femminili all’interno di società o di istituzioni – sempre in un paese civile – appare piuttosto troglodita a dirla tutta.
Una democrazia che è costretta a ricorrere allo strumento legislativo per affermare quella che dovrebbe essere un’ovvietà non ci fa una bella figura. Ma se questo strumento, col tempo, può rivelarsi utile per ottenere un minimo di giustizia, e anche per sentirci dire dalle generazione future “quanto eravamo arretrati”, ben venga.
I gradi e la varietà di violenza nei confronti donne sono dunque tanti: dalla violenza fisica a quella psicologica, dalle ingabbianti e invadenti molestie fino ad arrivare anche alla violenza economica.
Chi non conosce donne licenziate o non assunte perché in stato interessante? O addirittura perché desiderano figli e per questo “in prospettiva” potenzialmente non produttive? Per non parlare del fatto che lo stipendio delle donne è in media inferiore del 20-30% rispetto a quello degli uomini?
E’ ancora tanta la strada da fare dunque, ancora troppe le discriminazioni e le violenze all’interno della società contemporanea; molto più che semplici residui di un secolare retaggio tutto al maschile; atteggiamenti e comportamenti spesso sminuiti, liquidati con superficiale indifferenza e leggerezza.
Molto può esser mutato a parole ma poco nelle coscienze e negli atteggiamenti.
Dietro al consolidato alibi della leggerezza continuiamo a chiuderci in una colpevole indifferenza nei confronti di un mondo al femminile che ancora combatte in solitudine contro violenze e stereotipizzazioni, adagiandoci ipocritamente sulle magre conquiste ottenute e guardando, a mo di giustificazione consolatoria, a chi sta peggio di noi solo per sentirci migliori.
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Vignetta di PV Pietro Vanessi