A quattro settimane dal voto per il rinnovo dei due rami del parlamento italiano e dopo aver aperto questa serie monografica di interventi con una ricognizione sul termine ‘riforma’, torno presentando la seconda parola che accompagna i discorsi pre-elettorali. Gli ‘esodati’ sono stati i campioni di un sondaggio promosso da repubblica.it, alla fine del 2012, quando sono risultati il segno linguistico più pronunciato dell’anno. Tecnicamente un esodato è un lavoratore, in genere over 50, che è fuori mercato perché in corsa per la pensione in base ad accordi presi col datore ma rimasto con un pugno di mosche in mano all’indomani dell’innalzamento dell’età utile per la messa a riposo o della revisione a rialzo dei requisiti minimi richiesti. Insomma, in mezzo al guado, non più salariato e non ancora indennizzato dall’Inps. Sorvolo sulla polemica che ha riguardato i numeri, la querelle che ha coinvolto in maniera perfino bizzarra il ministro Fornero e i vertici dell’Istituto, protagonisti del minuetto delle cifre, e vado dritto al punto. La parola ‘esodato’ entra nei dibattiti della campagna poiché, semplicemente, una contromisura occorre prenderla e pure perché ne va del consenso di questo o quel partito, di questa o quella coalizione. Gli ‘esodati’, cioè coloro che vivono in un stato d’eccezione, secondo un profilo programmato per essere muto e invisibile, sono la proiezione di un modo di stare al mondo che è tipico degli uomini contemporanei, soprattutto di grosse fette di gioventù. I famigerati giovani sono gli esodati eccellenti. Sono quelli che più di tutti sono in esodo.
Gli ebrei fuori dall’Egitto
Sono quelli che o si chinano al faraone, o lo combattono ribellandosi in patria, oppure individuano una “exit-strategy” verso un luogo socio-politico altro. I disoccupati ventenni di oggi, quelli che patiscono la routine dell’incartamento del sistema di produzione dominante, sono nomadi in cerca di un posto, di una collocazione, che non esiste sulle mappe geografiche, che non è una questione puramente territoriale o economica. Perciò sono de-individualizzati, disambientati, disabituati, esodati che rincorrono una dimensione che li ubichi: non tanto per mettere radici, ma piuttosto per assegnare loro un’identità.
N.B. Quello del principio di individuazione è un tarlo dell’intera storia del pensiero. Chi siamo, che facciamo, dove andiamo eccetera. In Marx è centrale, alla faccia di lo ritiene un sociologo del comunismo. La vera questione è la vita di ognuno: viverla e cosa fare per riprodurla e mantenerla viva.