“Le elezioni politiche italiane del 1994 si tennero il 27 e 28 marzo. Si votò in due giornate per venire incontro alle richieste delle comunità ebraiche, che il 27 celebravano la loro Pasqua” (Wikipedia). Sembra incredibile ma c’è qualcuno – non dirò chi – che ha ricordato l’evento con queste esatte parole: “Oggi é [sic] il nostro 25 aprile, il 27 marzo del 1994 per la prima volta Silvio Berlusconi vinse le elezioni in Italia“. Da notare la sostituzione (sostituzione, neppure accostamento!) delle date in relazione a uno scempiato concetto di libertà: si dimentica volutamente il significato della “liberazione” del Paese dall’oppressione nazi-fascista e si allude a una “liberazione” che coincide con l’avvento di Berlusconi e della sua truppa di malfattori alla guida della nazione. Il pensiero corre immediatamente a quell’Ellecosta che, anche lui spregiando il significato del 25 aprile, proponeva di sostituirlo con l’8 settembre (data dell’entrata in Italia dell’esercito tedesco).
Per conoscere quali siano state le conseguenze di quella famosa “liberazione” basta misurare la distanza che separa le parole del guitto e pappone Emilio Fede al paesaggio di rovine politiche, economiche e morali che ci sta attorno dopo diciotto anni da quel giorno fatidico. Non che la responsabilità sia tutta sua, ovviamente. Ma suo è e rimarrà il segno più nefasto.
Per non dimenticare (e quanti, invece, già lo stanno facendo) riporto alcune righe di una commemorazione più vicina alla verità dei fatti:
L’ancora poco conosciuto Joker s’affacciava da una nuvola turchina: promette vita comoda, allegra, sicura; manda all’Italia sommesse dichiarazioni d’amore; sorride enchanteur, artefatto dai capelli ai tacchi; spaventa teste deboli agitando fantasmi comunisti; ostenta pose pragmatiche; esibisce patenti cattoliche. Qualche precedente constava, il resto affiora dagli atti giudiziari. Lo pseudouomo nuovo s’era ingrassato nella vecchia politica, i cui rottami eredita: tessera P2 n. 1816; ombre mafiose segnano una carriera le cui matrici tiene ermeticamente nascoste; i soldi gli uscivano dalle orecchie; comprava favori ministeriali; monopolista pirata delle televisioni commerciali, vi pesca i voti che lo proiettano a Palazzo Chigi, col fine manifesto d’evitare rendiconti penali, e apre nuovi cicli d’affari. Non gli servono più costosi patroni: lo Stato diventa roba sua; traffica, blatera, governa, legifera in eversione permanente, furioso contro i relitti dell’antiquata civiltà giuridica. L’estero guarda allibito: vola l’epiteto “sinistro buffone”; nelle visite ufficiali spende gaffes, squallidi istrionismi, barzellette oscene. Non sale dall’inferno: lievitava nel tiepido brodo italiano, finché interviene la mutazione genetica; storie d’ordinario malaffare producono fenomeni monstre.
F. Cordero, L’opera italiana da due soldi. Regnava Berlusconi, Bollati Boringhieri 2012, pp. 119-120