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28. Nelle mani

Creato il 10 ottobre 2011 da Fabry2010
28. Nelle mani

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Fu una delle battaglie più dure, un anticipo di quello che successe.
La piazza è piena, satura, sembra esplodere da un momento all’altro.
La sala ha le poltrone rosse, il riflesso delle immagini forma macchie bianche e nere sul volto, ombre che non trovano pace.
Quanti sono i carri armati? Comincia a contare: uno, due, tre… dodici, tredici…
L’avevo scoperto solo allora, in pochi giorni lessi tutti i libri e ne avrei voluti ancora.
Gli occhi sono fissi, diretti verso l’alto, la mano alzata, le dita ripiegate.
Avanzano lenti, la proboscide che oscilla lentamente, i cingoli che macinano strada.
Lo avvicinavo al vangelo e mi sembravano simili, come fossero sovrapponibili o l’uno continuasse il discorso che l’altro aveva cominciato.
I capelli brizzolati, la cravatta con il nodo stretto, la bocca semiaperta.
Davanti al carro armato si profila una figura: un giovane ritto in piedi con qualcosa in mano, due buste della spesa, forse, difficile dire con certezza.
Sarebbe andato bene anche per noi, non c’erano le stesse condizioni e l’uomo non è uomo a qualunque latitudine?
Sulla scena due attori si baciano, appassionatamente, lui la stringe forte, le bocche premono l’una contro l’altra.
Il carro armato si avvicina come non avesse visto nulla. L’uomo è fermo, con le buste in mano: ha fatto la spesa per il mondo, come se le sorti della terra dipendessero dalla posizione del suo corpo, dalla scelta di restare o andarsene, dalla paura o dal coraggio di un momento.
Si rischiava, certo, perché la violenza è un’arma che ti può colpire quando meno te lo aspetti, e non sai se sarà un buffetto o un colpo di pistola.
Poi eccone altri due: lui con cappello nero e giacca chiara, lei con un vestito scuro che fa risaltare il bianco della pelle.
Avanza veloce come niente fosse: lo raggiungerà? Lo schiaccerà, per non mettere in ridicolo la forza dell’esercito? Allora, quanti sono? Continua a contare: quattordici, quindici, sedici…
Quella volta mi sferrarono un pugno sulla bocca, sentii dolore, ma ero tanto convinto della linea presa che ci fu qualcosa di più forte del dolore, un’energia che mi diceva: fermo, non tornare indietro, raccogli provviste per la fame di giustizia di tutto l’universo.
Si baciano anche loro, poi lui fa un gesto repentino, come per andarsene: il volto della donna è inquadrato in primo piano; cosa succede? La sta lasciando? Parte per qualche motivo inderogabile?
Diciotto, diciannove, venti…Procede ancora, ormai saranno tre, quattro metri di distanza. Fa male restare sospesi nell’attimo in cui non sai che cosa potrà accadere.
Malcom fu preso dalla rabbia quando vide la scena trasmessa dalla televisione: disse che lui sarebbe intervenuto, avrebbe reagito, che un nero non può subire umiliazioni che ne ribadiscono l’inferiorità.
La donna ha un’aria appassionata, la bocca aperta, il viso scosso come da fremiti.
Ecco, ora si è fermato, i cingoli sembrano ruotare su se stessi, il giovane è immobile con le buste della spesa: cosa avrà comprato? Il tè, il riso, il pollo con le mandorle?
Non perse occasione per denigrarmi avanti agli altri: per lui alla violenza avremmo dovuto contrapporre la violenza.
Poi, nello schermo del cinema, mentre le immagini scorrono sul volto, tra i capelli brizzolati, come ombre in movimento, una donna si apre la camicia con aria di sfida e resta con il seno puntato contro chissà chi, come se la vita non fosse che uno stare l’uno avanti all’altro in attesa di una mossa, di un esito fatale, come se l’amore e l’odio fossero indifferentemente uno scontrarsi e un divorarsi, scommettere sulla sconfitta o la vittoria, ma di chi? Chi può considerarsi vincitore, se l’altro non c’è più?
Io ero convinto del contrario: avrei portato avanti la mia lotta, anche contro tutti, perché sapevo che l’unica vittoria possibile è l’incontro, che il bacio non può essere un segno per mettere l’altro nelle mani della morte.



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