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29. Il nome

Creato il 29 ottobre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su ottobre 29, 2011

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La lotta si spostò a Birmingham. Fui criticato per la scelta del momento, ma ero convinto che i moderati in ascesa creassero una situazione favorevole, nonostante la presenza in città del razzismo più feroce.
Il fuoco ha qualcosa di ambiguo: nella notte, è un segno di speranza, uno spiraglio di luce nella tenebra. Ma quando a incendiarsi sono macchine, negozi, cassonetti, diventa l’anticamera sinistra dell’inferno.
La musica, la musica. Possibile che sia la soluzione di ogni male? Si porta dietro i sogni e, si sa, ognuno si coltiva i suoi: una donna flessuosa che fa perdere la testa, un treno che sfreccia in una terra libera, una scala di stelle agganciata alla luna in un cielo senza nuvole.
Ci preparammo col solito piano di dimostrazioni: ormai era diventata una routine, uno spartito da ripetere a memoria.
Giovani dalle tute bianche passeggiano tra le fiamme come diavoli o angeli: chi riesce più a distinguere il bene dal male? Qual è il confine fra la lotta e la violenza, l’anarchia e la libertà?
Si può sognare un tulipano nel deserto, una corsa in mezzo al temporale, una panchina vuota in un giardino seminato di foglie gialle e nere.
Non eravamo partiti e già piovevano le critiche: da destra e da sinistra: i razzisti si preparavano all’intervento repressivo, i radicali ci accusavano di spettacolarismo.
La strada è cosparsa di oggetti, schegge di pietra, bidoni rovesciati; il fumo nasconde le facce, la storia è una nebbia che cala sulla lucidità degli ideali.
La musica, la musica, dicono che abbia a che fare con il sesso, soprattutto il rap – si chiama rap? – dove ogni nota è un movimento del corpo: una gamba che si allunga, un seno che oscilla, una natica che si abbassa o si solleva.
La marcia partì: sapevamo che sarebbe successo qualcosa, nel tragitto, il dubbio era sul dove, il come e il quando.
Un uomo sfida i poliziotti, protetti dai caschi e dagli scudi; gli fa segno di avanzare, perché lui non ha paura. La musica, la musica: ha a che fare col sesso o col coraggio?
Che cos’ha lo sguardo di una donna? Me lo chiedo spesso quando incrocio gli occhi che ammiccano, le sopracciglia alzate, la bocca aperta che lascia intravedere la punta della lingua.
Procedere compatti, stringere i cartelli e gli striscioni, cantare – vinceremo! – la musica ha che fare col sesso, il coraggio o la speranza?
Venite, venite! I poliziotti lo guardano immobili, si capisce che scatteranno da un momento all’altro, gli scudi fremono, le visiere mandano lampi d’ombra e di luce che tradiscono scarti impercettibili.
Cosa fa lo scrittore se non decifrare quello sguardo, immaginare che cosa si nasconda dietro la montagna che chiude l’orizzonte, l’albero che copre la facciata della casa, il lampione che ingaggia la battaglia notturna con il buio?
Si parla, nella marcia, si scambiano opinioni e sensazioni, si ride, si sogna – un bambino che fa giochi di prestigio con le stelle, un cinema in cui si proietta la tua vita, un’altalena che finisce la corsa nella galassia accanto.
Ecco, si muovono; l’uomo continua a fare segni con la mano – venite, venite -, un agente si volta verso un altro – che facciamo?
Lo scrittore si fonde con la musica, ha qualcosa a che fare col sesso, il coraggio, la speranza, ha occhi che scrutano i movimenti più impalpabili, i dettagli sfuggenti, le sfumature che nessuno nota e contengono il segreto delle cose.
Eccoli, arrivano, la violenza non si perde in complimenti, i primi colpi sono i più terribili, ti colpiscono a freddo, alle gambe, sul collo, dove fa più male ma non resta il segno.
Venite, venite, che facciamo? La musica è una domanda in sospeso, il sogno di un bambino che ha visto una città di cui non sa più il nome.


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