Sono certo che alcuni storceranno il naso, altri faranno il classico risolino di chi pensa che la moda sia una cosa frivola, la stessa gente incapace di vedere che dietro un post fatto di lustrini e ricami c’è un pensiero sull’umanità, il mondo di oggi, le esigenze quotidiane, la visione del futuro. Chiunque abbia uno spiccato interesse per la moda è abituato a questo genere di considerazioni, e quindi non basteranno a distogliermi da un tema che mi è molto caro perchè rappresenta la sostanza di ciò che con questo blog ci siamo proposti di fare e al tempo stesso è la fiamma che anima la mia passione.
opera di Flavio Lucchini
Leggendo “Ribelli con stile” di Matteo Guarnaccia ho scoperto una vicenda piuttosto interessante: il 29 ottobre del 1793 in Francia la libertà d’abbigliamento fu proclamata un diritto fondamentale dell’uomo. Per secoli l’immobilismo sociale si era tradotto in una serie di divieti e rigide regole sull’abbigliamento, l’abito faceva la classe sociale o addirittura l’etnia di appartenenza per quei gruppi discriminati dalla società civile e a volte vere leggi assecondavano le folli credenze religiose: ad esempio le stoffe rigate, ritenute demoniache furono imposte nel Medioevo a giocolieri, musicisti, buffoni, prostitute e lebbrosi. L’assetto di una società dipende in gran parte dalla forza dei modelli che in essa vengono rispettati, così non stupisce se i rivoluzionari francesi con la loro ventata di libertà e uguaglianza, furono così acuti da abbattere un formalismo pregiudizievole, capace di condizionare le relazioni sociali.
opera di Wang Guangyi
Condizionare l’immagine, l’aspetto, significa condizionare la libertà e di ciò erano consapevoli quei regimi dittatoriali che nel corso del XX secolo usarono le divise per definire le masse più che per identificare delle funzioni: i piccoli italiani alle parate, i deportati nei campi di concentrameno, i rivoluzionari cinesi, tanto per citare degli esempi. Ma come racconta Guarnaccia il Novecento è stato anche il secolo delle ribellioni giovani, delle sottoculture che hanno trovato proprio nell’abbigliamento lo strumento per manifestare disagi e diversità, fino a diventare a loro volta dei modelli di vita e stile.
Qualche tempo fa Simone Marchetti, la penna del giornalismo italiano di moda che preferisco, riassumeva perfettamente un concetto essenziale per un hegeliano come me: “l’abito è l’artificio che più ci definisce, che ci descrive, che ci delimita. L’abito è la possibilità di tradurre un pensiero in un’azione estetica”, a ciò allude il tip di TheWardrobe “il vero lusso è essere se stessi” e questa è la ragione per cui il 29 ottobre deve essere celebrato come una giornata importante, una data significativa nella storia della moda.
opera di: Wang Guangyi
Celebrare quella dichiarazione di libertà non è solo un fatto commemorativo, forse una giornata della libertà di abbigliamento andrebbe ufficialmente istituita per tutte quelle realtà in cui ancora l’abbigliamento più che strumento di comunicazione è strumento di mortificazione; e sia chiaro: nessuna critica al libero e consapevole rispetto delle tradizioni locali, ma esso deve essere sempre frutto di una scelta.