da qui
E venne il giorno. Mi sembra impossibile, eppure venne veramente.
Alzò il bastone rosso con le estremità argentate e gridò, con quanta voce aveva in corpo.
Quando tornerete a casa, troverete i bambini: date una carezza ai vostri bambini.
Vivessi mille volte, credo che quel giorno non verrebbe più, perché il destino bussa quando meno te lo aspetti, ma chiamiamola pure volontà di Dio.
Extra omnes!
E dite: questa è la carezza del papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il papa è con noi! Specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza.
Poi, si sa, c’era tutto un movimento per affermare il proprio candidato: una lotta tra correnti tradizionaliste e progressiste.
Entrarono nella cappella che era un ammasso di corpi nudi in attesa di giudizio, no, una teoria di figure ieratiche avvolte nei mantelli, no, due dita che sembrano toccarsi e sono separate da un abisso.
E poi tutti insieme ci animiamo, cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuare a riprendere il nostro cammino.
C’erano nomi da una parte e dall’altra – Masella, Ruffini, Siri, Lercaro, carriere famose, reboanti -, era proibitivo trovare un accordo tra le fazioni opposte.
Le mantelline rosse e le berrette, le croci d’oro, i dannati con la faccia tra le mani, i diavoli con le orecchie d’asino avvolti da serpenti.
Camminano l’uno a fianco all’altro, col cappello a larghe tese e la talare che arriva fino ai piedi.
Che pensieri attraversano la mente nelle ore che la vita è appesa a un voto, come le foglie d’acero in autunno? Ricordi la volta che eravamo seduti intorno a una tovaglia stesa sopra il prato, con le auto parcheggiate come funghi che spuntano come il destino, dove meno te li aspetti?
Barbe e capelli bianchi, schede nascoste dalla copertina rossa e rosse perfino le penne, discendenti povere di ben altri strumenti nelle mani di uomini come il Perugino, Botticelli, Ghirlandaio, Signorelli, Cosimo Rosselli.
Avanza spingendo in avanti il suo bastone, col soprabito bianco che ne fa un monte d’inverno, forse il suo, dove la chiesa si arrampicava a stento portandosi dietro i ragazzi che ancora puzzavano di stalla.
La curia, come sempre, si sentiva minacciata, l’importante era difendere lo stato delle cose, salvarsi dal desiderio infantile di cambiare le cose.
Ecco, si siedono, si consultano con uno sguardo, una parola sottovoce, un sussurro soffiato nell’orecchio.
La cappella è il mondo, il tempo, ma tutto succede contemporaneamente, come i piani paralleli di un romanzo, come i fatti della vita che s’intrecciano inestricabilmente e sta a te trovare il bandolo, prendere un capo della storia e trasformarlo in righe sulla carta o sullo schermo bianco del computer.
Undici fumate nere, vuoi vedere che il dubbio durerà in eterno, che la fine del mondo ci coglierà mentre scriviamo nomi sulla scheda custodita dalla copertina rossa con lo stemma vaticano?
Si avvicinano al limite estremo del giardino, da cui si vede la città, un groviglio di tetti che si allunga fino al sipario logoro del cielo.
Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce, ma il Signore non era nel vento.
Vuol dire che è soltanto un sogno, che tra poco lo zio mi sveglierà per riportarmi in chiesa nelle sue braccia forti?
L’uomo vestito di bianco indica la cupola con un movimento rotatorio.
Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.
Mi lascerò cullare ancora dalle parole incomprensibili del prete, lo sbircerò ancora una volta, con gli occhi semichiusi?
Nella foto si vede la famiglia: le donne con gli abiti scuri, gli adulti col cappello in mano, i ragazzini col riso trattenuto a stento.
Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.
Sognerò di dormire ancora nel caldo del letto, prima di partire a piedi per la scuola?
Al centro c’è lui, la faccia tonda, le mani sulle gambe.
Dopo il fuoco ci fu una voce di sottile silenzio. Come l’udì, Elia si coprì il volto col mantello, uscì e si fermò davanti alla caverna.