da qui
In primo piano c’è una chiesa dalla facciata che ricorda San Miniato, un campanile troppo alto che sfida nemici invisibili e tenaci, a ridosso di case di cui si intravedono il tetto e le finestre del piano superiore. Dietro, una collina in cui si alternano viti e cipressi e in cima una chiesa più piccola col campanile a torre.
La mano è tesa, benedice, è il prolungamento necessario del volto appena sorridente, le grandi orecchie predisposte all’ascolto, come se l’udito fosse la cosa più importante, come se ogni cosa che conta nascesse dall’ascolto.
Lo zio preleva il nipote e lo porta a messa la mattina presto.
Nello sguardo si legge una storia sofferta, una dolcezza capace di assorbire i colpi duri, una quiete misteriosa che lascia indovinare una battaglia senza sosta.
Sei addormentato, tra le braccia muscolose, e sogni di viaggiare, di volare in una città irta di case, ammassate le une sulle altre; non ricordi se sia la tua città o quella che desideri, appoggiata alla parete rocciosa che confina con le nuvole: perché la felicità confina sempre con le nuvole, ha qualcosa a che fare con il cielo.
La mano tocca una medaglia in mezzo al petto, o una croce, o il segno di un potere che non senti tuo: non hai mai capito come possano convivere la signoria e l’amore, il dominio e la fiducia.
Sogni una vallata piena di crochi ai bordi di una foresta gialla per l’autunno, una casa circondata da ciliegi di cui non hai conosciuto mai il padrone.
La mantella rossa è un richiamo alle origini, alle scarpe rotte di cui ti vergognavi, alle botte che prendevi per gli scherzi ai tuoi compagni, le mucche, il fienile, la polenta.
Una nuvola a forma di leone si posa sulla cima del monte; perché tuo zio ti porta in chiesa, cosa si nasconde tra gli archi che intravedi con gli occhi pesanti per il sonno? Perché il futuro di un bambino è un animale sconosciuto, un prato troppo grande, una strada biancastra in mezzo ai ghiacci dove tutto è silenzio?
Ti affacci dal treno con la faccia stanca; da dove sei arrivato? E’ vero che il treno è il mezzo preferito dai sogni che non escono dalla botola del cuore?
- Zio, voglio tornare a casa.
- Shhhh! Non senti che il prete sta parlando?
Il treno custodisce un ricordo rinchiuso nel vagone, gli occhi mi raggiungono fin qui, mentre pensavo di aver dimenticato.
Invidi le pecore che brucano tranquille all’aria aperta, ti chiedi se il futuro sia bianco come loro, o verde come la quercia su cui ti arrampichi ogni sera, o giallo come il campo di ginestre che si perde a vista d’occhio.
Dal finestrino in corsa ti appare la città dove non sei mai stato e che sembra ospitare un desiderio, lo sguardo che chiama, azzurro come il cielo, bianco come la luce del mattino, giallo come il sole che sorge dietro il monte, mentre le braccia dello zio ti riportano a casa, addormentato.