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3. La parola fine

Creato il 02 settembre 2010 da Fabry2010

3. La parola fine

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La crisi del romanzo è visibile anche nel proliferare di metodi, scuole, corsi per insegnare a scriverlo. Mi vengono in mente meccanismi curiosi, come il fabbricare carte che dovrebbero suggerire temi e svolte nella narrazione. Niente di nuovo, naturalmente: solo tra i contemporanei, si potrebbe citare il Calvino del Castello dei destini incrociati, costruito con una combinazione di carte dei tarocchi. Il nostro personaggio, che chiameremo Leopoldo, non ha bisogno di mezzi artificiali; gli basta scendere in strada e trovare carte umane molto più provocatorie e stimolanti: l’alcolista già ubriaco alle nove del mattino; lo zingaro in cerca di candele per i suoi riti misteriosi; la pizzaiola islamica dagli improbabili capelli biondi; l’edicolante umbro che intrattiene relazioni sociali interrazziali e interclassiste. Da ognuna delle molteplici figure, che appaiono sulla scena come sul palcoscenico di un teatro improvvisato, potrebbe nascere una storia che andrebbe a intrecciarsi con le altre, fino a formare la matassa inestricabile che, a guardarla dall’alto o da lontano, è l’esistenza. La prima carta potrebbe essere Antonio, un quarantenne alcolizzato che Leopoldo aveva incontrato qualche giorno prima e poi erano venuti a dirgli che era morto: certe figure sono una specie di memoria della fragilità di ogni progetto, compreso quello del romanzo. Ma sono anche l’appello a custodire le tracce vitali, a non arrendersi di fronte alla constatazione del decesso, perché qualcuno dice che neanche là si può scrivere, a cuor leggero, la parola fine.



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