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3 settimane in Messico: antropologia (parte 2)

Da Gynepraio @valeria_fiore

Dopo una prima parte -più utile e seriosa- dedicata all’itinerario delle mie 3 settimane in Messico, ecco finalmente quella cazzara dedicata alle osservazioni antropologiche.

IL BRULICARE DI PICCOLI BUSINESS

Città del Messico è una città feroce: ha 9 milioni di abitanti Approfittando di buchi legislativi e della creatività che solo la povertà ti sa dare, ad ogni piè sospinto si incontrano venditori ambulanti di qualsiasi cosa. I miei favoriti erano i banditori dei metro, solitamente ragazzi, che nel tempo di una fermata cercavano di vendere la propria merce nel vagone. In 2 giorni e mezzo a Città del Messico, ci sono stati presentati i seguenti articoli: fischietto in grado di produrre oltre 20 suoni diversi, caramelle per la gola, corsi di informatica, kit di 3 accendini, chewing gum 18 confetti, video per bambini per tablet, figurine Minions, arachidi, penne colorate, mix frutta secca+essiccata, album da colorare, gallette all’amaranto, cd musica pop, barrette di miglio e frutta secca, pettine con relative custodia. Ma dimenticatevi le questua dei nostri ambulanti! Si trattava di argomentazioni solidissime, tipo questa. “Buon pomeriggio, quest’oggi sono qui per presentare a lor signori e signore queste validissime caramelle per la gola (intro e posizionamento chiari): contengono propoli, miele, eucalipto, hierba buena (descrizione tecnica ma non troppo). Aiutano chi ha il raffreddore, garantendo sollievo alle vie respiratorie (target e beneficio). Appena prodotte, potete voi stessi verificare la data di scadenza prima del pagamento (sezione faq per prevenire le obiezioni): 5 pesos, signori e signore, solo 5 pesos (prezzo alla fine, è la variabile meno influente)”. La marketer che è in me gridava: bravo, sono fiera di te.

L’occidentalizzazione dei Messicani

Di tutti i Paesi latini, credo che il Messico è quello più combattuto tra tradizione e modernità. Hanno una loro personalità peculiare, definita, inconfondibile, cui si aggiunge lo spirito di iniziativa e il piglio imprenditoriale statunitensi di cui scrivevo poco fa. Ma dei gringos hanno anche inglobato alcune tra le abitudini peggiori: mangiano a tutte le ore, tanto, troppo, continuamente, abusando di zucchero, bevande dolci, grassi saturi e carne rossa. Uno degli snack preferiti dai frequentatori del Bosque de Chapultepec (=parco urbano per famiglie tipo Villa Borghese) sono i Dorilokos: cioè i Doritos (=la versione junk dei classici nachos prodotti della multinazionale americana Frito-Lay) insaporiti “a mano” dai gestori dei chioschetti ambulanti con una serie di ulteriori ingredienti: salse, formaggio, peperoncini, panna acida, noccioline. Una idea di marketing eccezionale: una porcheria industriale apparentemente lavorata a mano. Ecco a voi la scelta:

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Da notare i Cuerilokos, con aggiunta di “cueritos” ovvero cotenne di maiale

Il risultato, insomma, è che sono grassi, specialmente i bambini, e pigri (es. pochissima gente che correva nei parchi). Ma dai vicini di casa californiani, con un certo ritardo, sembrano aver preso la passione per il fitness.

3 settimane in messico

Classe di zumba sul lungomare di Campeche

La lotteria genetica, che tanto ha aiutato le californiane, non è stata altrettanto generosa con le messicane: ha donato loro capelli stupendi, spessi e lucidi, ma le ha dotate di parecchi peli superflui. E queste, invece di estirpare baffi&sopracciglia, dove investono i loro pesos? Nella street-nail-art da autentiche cesse. Ragazze, no.

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IL CIBO SORPRENDENTE

La parola giusta per definire le pietanze messicane è sorprendente. Ci sono gusti molto decisi: il lime è asprissimo, l’avocado è morbidissimo, il peperoncino è fortissimo, la papaya è dolcissima, i gamberi carnosissimi etc. Si trovano accostamenti di sapore inediti: ad esempio il mole poblano, una salsa usata per insaporire i piatti di carne, contiene cioccolato. C’è questo sciroppo rosso per decorare chiamato Chamoy a base di frutta essiccata + zucchero + sale + limone + aceto + peperoncino, che è contemporaneamente dolce, salata e acida. Esistono cibi ai quali non daresti un centesimo e invece quando li assaggi ti ritrovi a belare di piacere. Io sono grande fan degli Esquites, cioè chicchi di mais bollito serviti in un orrido bicchiere di plastica con un cucchiaio di maionese, uno di salsa piccante e uno di formaggio grattugiato. Provare per credere.

3 settimane in messico

Dall’alto a sx: chicharrones, pseudoghiacciolo ricoperto di chamoy, latte + pan de muerto oaxacano, tipico carretto che vende esquites.

Ho riscoperto alcuni sapori che da noi sono un po’ demodè, come il tamarindo e il karkadè. Per placare la mia curiosità di street food ho mangiato macedonie, succhi, ghiaccioli, aguas frescas, granite, grattachecche piene di ghiaccio probabilmente fatto con l’acqua del rubinetto. A farne le spese è stato voi-sapete-chi, che ha lo stomaco delicato di un agnellino e ha quindi vomitato a più riprese per 3 giorni. Io, che sono una macchina da guerra, nulla.

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Ortofrutta, spezie, polli in bella vista

L’ESTETICA DEL DISFACIMENTO

Ci sono state punte di bellezza che mi hanno lasciato senza parole: ad esempio, la Casa Azul è una meraviglia non solo per il significato (=il teatro della relazione amorosa tra due persone ipercreative e bohémienne che hanno marchiato con la loro personalità i secoli a venire) ma anche per il significante (=è oggettivamente una casa bellissima, elegante, in un quartiere splendido, con una luce preziosa).

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C’era anche la salopettona gigante di Diego Rivera!

Idem le rovine di Palenque: io m’immagino l’esploratore che girava per il Chiapas alla ricerca di salcazzo che con un colpo di machete ha buttato giù qualche frasca e si è reso conto che in mezzo alle liane c’era una città fantasma ben conservata.

3 settimane in messico

Ho anche provato a mimare l’esploratore

A fianco di questa bellezza così spettacolare, c’era poi quella bellezza decadente tipica di molte città latinoamericane (se siete stati a L’Avana sapete di cosa parlo) e che io trovo difficile da apprezzare pienamente. Credo che questo disfacimento sia intenzionale: il centro storico di Puebla, che è patrimonio Unesco, include oltre 2000 edifici oggetto di regolare restauro. Ma è un restauro che sembra preservare il disfacimento e non ha niente a che vedere con quello europeo, anche blandamente conservativo, anche di edifici coevi. Credo, come già avevo affermato in passato, che l’overdose di bellezza cui noi italiani siamo abituati ci rende a volte poco elastici nel capire che esistono bellezze “altre”, imperfette, logore.

COSE CHE PER FORTUNA CELAVEVO
  • Kindle. Ho letto tanto, sempre, con fame: abbiamo fatto tipo 32 ore di aereo, altrettante di autobus e 4 giorni di spiaggia pura. Sono arrivata a 7 libri, tutti belli, tutti diversi. Come preventivato, a 2/3 della vacanza avevo finito gli acquisti e ho dovuto comprarne altri 3 (anche perchè se non mi fossi procurata istantaneamente il 2 volume della quadrilogia di Elena Ferrante mi sarei gettata da una qualche piramide Maya, ndr). Per tutti i consigli letterari, ringrazio sentitamente lei e lei, in particolare per le risorse contenute qui.
  • iphone. Mi è servito a scattare foto, sentire i parenti, prendere note, prenotare gli hotel e gli autobus. La vita è più bella con uno smartphone.
  • voi-sapete-chi. Che (a parte 1 volta e mezzo in cui si è giustamente meritato il mio trattamento punitivo con relative espressioni facciali) è stato collaborativo, proattivo e per nulla lagnoso. Si è distinto, oltre che per le doti che già gli riconosco (resistenza fisica e senso dell’orientamento) anche per un’inaspettata tolleranza del caldo e del piccante. Ha come sempre brillato per spirito di osservazione e senso dell’umorismo. Per me è sì.
  • souvenir. Faccio parte dei comitato che vuole liberare il mondo dalla piaga dei magneti, ovvero quel florilegio di girasoli toscani, tour Eiffel, Colossei e mascherine di Venezia che fanno cucù dal frigorifero di milioni di Italiani. Quindi in vacanza io vado sempre al supermercato e compro prodotti alimentari locali che distribuisco agli amici sperando che inizino una collezione di packaging dal mondo. Non sono forse meglio dei magneti? No? Siete tutti fan delle maladette calamite lì? Bene, anche per oggi mi sono fatta degli amici.
COSE CHE MAGARI CELAVESSI AVUTE
  • kit del buon sonno composto da copertina + cuscino semicircolare. Su autobus e aerei la mise felpa+pantaloni lunghi non era sufficiente: questi gadget mi avrebbero fatto comodo per non svegliarmi infreddolita e rigida come Robocop. Ovviamente possedevo entrambe le cose, ma le ho lasciate a casa.
  • cura preventiva di fermenti lattici per voi-sapete-chi. Forse non sarebbe caduto vittima della mini-intossicazione di cui sopra. Momento Michele Mirabella: la cura di fermenti va fatta prima di partire, perchè i ceppi più classici (acidophilus, plantarum, bifidobacterium lactis) spesso non sopravvivono ai cambi di pressione/clima/altitudine tipici dei viaggi aerei. Se invece ci tenete a portarveli dietro, il ceppo da scegliere si chiama Saccharomices Boulardii.
  • vestiti decenti. Durante il viaggio ho indossato abiti vecchi, progressivamente abbandonati lungo il cammino per fare spazio ai souvenir alleggerire lo zaino Per cui tra il caldo, il sudore, il naso bruciacchiato, la stanchezza, i vestiti di merda, l’assenza di phon+piastra e una beauty routine ridotta all’osso sono stata un cesso per tre settimane. Non mi sono sentita brutta come ad Amsterdam o a Copenhagen, perchè nè turisti nè locali si distinguono per la loro raffinata eleganza. Tuttavia, per i prossimi viaggi, mi riprometto di comprare indumenti comodi e carini senza scivolare di nuovo nel look gattara.
  • shopping spensierato. Avevo quasi sempre voi-sapete-chi al seguito, notoriamente non appassionato di shopping, e quindi mi sono limitata a comprare un panama (dimenticato sull’aereo di ritorno) e delle meravigliose ciotoline da dessert dipinte con i teschi (nelle quali sta solo una pallina di gelato degli gnomi oppure 4 ciliegie, ma non fa nulla). Inizialmente volevo una blusa con scollo ricamato ma mi sono resa conto che erano in un cotone molto grezzo e prive di taglio/taglia, cioè avevano solo i buchi per collo&braccia + una coulisse sulla schiena per stringerle. Quindi, ottime per Frida Kahlo ma non per me. Sono poi passata a desiderare una bellissima&morbidissima borsa a secchiello in pelle realizzata a mano dagli indigeni del Chiapas, ma poi voi-sapete-chi mi ha fatto inventariare le borse che possiedo e mi ha dissuaso. Infine, è stata la volta di una meravigliosa&bianchissima amaca fatta all’uncinetto che pareva pronta per essere uploadata su Pinterest. Ma io ce l’ho due alberi cui appendere una amaca? O un giardino in cui piantare due alberi? O il tempo di sdraiarmi sull’amaca? None of the above. E allora lo vedete che devo farmi furba?
  • connessione Internet. Io parlo bene spagnolo, ma spesso un dizionario mi sarebbe stato d’aiuto (tipo chiamarlo “sésamo” era troppo facile, in Messico preferiscono dire “ajonjolì” così tu resti col dubbio che si tratti di una spezia piccante che provoca alitosi, mi pare giusto). Inoltre, su consiglio suo, volevo provare Citymapper ma purtroppo il magnifico gestore Tre non propone alcuna convenzione per il Messico e non ho potuto collegarmi a Internet se non tramite wifi. Ovviamente non avevo disattivato il roaming dati e devo al magnifico gestore Tre ben 64 euro di traffico Internet. Sì, io sono scema, ma voi di Tre brucerete all’inferno.

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