da qui
Gli ulivi sono macchie di verde, bianco e argento che protendono braccia contorte verso il cielo. Nell’orto c’è la vita in tutti i suoi dettagli: la terra nuda dell’inizio, lo sbocciare del fiore, la durezza della roccia, l’affondare delle radici in cerca di alimento; e poi il sentiero polveroso, il muretto di pietre con il sole a picco, la linea retta fra lo smeraldo del giardino e il giallo della cupola che veglia all’orizzonte. Ismail ha un’espressione sospesa, come se il mondo fosse un punto interrogativo privo di risposte.
- Gli ulivi siamo noi: braccia tese verso l’azzurro irraggiungibile.
- Non dire scemenze. Hai sentito l’ultima?
- Quale?
- Quella del pesce.
- Vuoi dire la pesca miracolosa di Andreas,Yaacov e Yoh’anan?
- No, la faccenda del fisco.
- Non so nulla.
- Hanno chiesto a Yehochoua se pagasse le tasse per l’esercito.
- E allora?
- Qualunque cosa avesse risposto, si sarebbe messo nei guai.
- Perché?
- Col sì, si sarebbe inimicato i palestinesi, col no, gli ebrei.
- E che ha risposto?
- Ha detto a Shime’on di prendere un pesce a un metro dalla riva.
- Per quale motivo?
- Indovina cosa aveva nella bocca.
- Non saprei.
- La cifra da pagare.
- Fantastico! Così si risolvono i problemi.
- Questo Yehochoua comincia a interessarmi.
La luce che batte sugli ulivi disegna una superficie scintillante, come il mare. Doveva essere il colore dell’acqua il giorno in cui Dio creò il mondo dal caos che gli resiste ancora, sotto forma di armi, munizioni, aerei da guerra in gara col tonfo sordo del tuono, il temporale che semina vita nell’aridità polverosa della storia.