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32. Stigliano

Creato il 15 aprile 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su aprile 15, 2012

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Parigi non c’è più: è rimasto un taccuino su cui scrivi la tua vita. Fofner ti guarda: davanti ai suoi occhi, il miracolo del ricordo può accadere ancora. Hai bisogno di ritrovarti in quell’azzurro, come fosse lo specchio del passato, ma – e questo non sai come spiegarlo – anche lo specchio del futuro.
- Scrivi.
- Non ce la faccio, sono impedito da qualcosa.
- Un segnalibro?
Dove sta correndo la bambina? La insegui con la bicicletta di cui non ricordi più il colore, sai solo che la sua era molto più veloce, come fosse un angelo, un fantasma che si prendeva gioco del tuo amore. Piangevi, ma non per la bambina: ti accorgevi di ciò che non riuscivi ad afferrare nella vita, nei giorni sempre uguali della scuola, del salotto buono in cui tua madre nascondeva i marron glacés e la cioccolata; i compiti a casa arrabattati nel letto a castello poco prima di fare colazione, le battute cattive del fratello. Stai piangendo ancora, Michelino ti chiede di fare uno scambio coi vostri soldatini: i suoi sono quelli di plastica del Dofo crem; sei sempre stato attratto dalle cose degli altri e gli dici vabbe’, facciamo a cambio, ma lui ci ripensa dopo poco, va a lamentarsi da tuo padre. Provi a leggere ancora nella pagina del pomeriggio caldo di Stigliano, la vacanza in campagna che vorresti cancellare: stai per infilarci il segnalino, ma Fofner è lì, con i suoi occhi grandi, lo specchio in cui passato e futuro fanno un unico grandangolo. Prosegui a fatica, vedi tuo padre con la faccia più severa, ti prende per un braccio e ti trascina nella strada polverosa, come in un western d’altri tempi, urla cosa hai fatto, ma non sai cosa rispondere, non ti ricordi più perché hai accettato il cambio svantaggioso e per quale ragione Michelino rivoglia indietro i granatieri di plastica del Dofo crem. Hai tolto il segnalino, continui a leggere, senti la rabbia che ti monta dentro, gridi, la gente riappare nella piazza, Parigi si riempie di persone che si fermano a guardare, si chiedono chi sia l’uomo agitato al tavolino della brasserie, sotto gli occhi azzurri di un amico, o di un nemico, uno che sta lì per caso, che sorride, che non pare affatto spaventato dalle escandescenze dell’interlocutore, anzi, è addirittura compiaciuto, come se stesse aspettando solo questo, mentre la polvere del sentiero di campagna si solleva e invade l’aria calda dell’estate, lo spazio all’aperto della brasserie, il cielo terso di Francia, l’atmosfera della terra, il vuoto tra stella e stella, i buchi neri che ingoiano i ricordi, i segnalibri che volano negli universi paralleli, le pagine dell’infinito che per la prima volta si scoprono agli occhi del lettore, mentre la bambina in bicicletta si volta per un attimo e tu le stai chiedendo ancora il nome, dimmelo, vedi? non ho più paura.


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