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33° Carnevale della chimica: il prequel

Creato il 18 novembre 2013 da Marga

Figure nere

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Senza titolo-1Ergotimos il vasaio guardava quel pane d’argilla prodotta a capo Kolios, nei pressi d’Atene; era la migliore: gli schiavi  avevano lavorato sodo per scavarla, preparare le fosse piene d’acqua dove purificarla per sedimentazione, da sassi e sabbia. Li vedeva al lavoro mentre, una volta depurata, ponevano l’argilla nella fossa per l’essicazione pestandola e rivoltandola in continuazione per renderla più fine e priva di quelle bolle d’aria così distruttive in cottura.
argille2La toccava e ne apprezzava la plasticità e pensava che era proprio l’argilla che aveva sempre aspettato, quella adatta alla creazione

schiavi che scavano l'argilla

schiavi che scavano l’argilla

del suo capolavoro. Già lo vedeva : un  cratere enorme  che  avrebbe attraversato il mare per finire sulla tavola di qualche ricco signore etrusco. Forse sarebbe stato usato per diluire il denso falerno , ma forse non avrebbero mai osato adoperare la sua meravigliosa creazione che avrebbe così sfidato i secoli diventando corredo tombale di un qualche raffinato collezionista d’arte.

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Con questa meravigliosa idea che non riusciva a togliersi  di mente, Ergotimos chiamò Kleitias il collega ceramografo con cui creava i pezzi migliori e  insieme, fantasticando di fama e immortalità, fecero il progetto.
Non contenti dei modelli di cratere allora in uso, pensarono e ripensarono finché ne Inventarono uno di  nuova foggia,  con le anse che si trasformavano
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in splendide volute appoggiandosi all’orlo del  vaso. Ne uscì il disegno di un elegantissimo vaso, e Kleitias ne progettò la decorazione, che avrebbe ricoperto ogni sua parte,  con eroiche di storie di dei e semidei.
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Ergotimos sorrideva  mentre ordinava al giovane aiutante di preparare il tornio. In ginocchio vicino alla tavoletta di argilla che l’aiutante faceva girare,  Il vasaio  diede forma ai pezzi della sua creatura: modellando con i suoi strumenti di osso e di legno  formò il collo, il piede, il corpo ed infine le anse.
Con argilla liquida incollò le diverse parti e levigò la superficie fino a eliminarne ogni
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asperità. Perfetto. Per ora il suo lavoro era finito. Il vaso doveva essiccare a durezza cuoio e
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poi il ceramografo avrebbe iniziato la decorazione.
Intanto Kleitias preparava l’argilla per la patina: era un processo lungo. In un contenitore pose una parte di acqua e quattro di argilla.  Lasciò riposare pochi minuti e poi eliminò la parte che saliva in superficie.  Aggiunse acqua di mare perché aveva notato che questa operazione rallentava la  sedimentazione dell’argilla. Ora non restava che aspettare e far scorrere
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l’intera notte.
il mattino seguente,  Kleitias estrasse la parte liquida dal recipiente e vi aggiunse qualche goccia d’aceto. Si formò una
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polvere finissima  che lasciò sedimentare prima di porla in un recipiente poroso ad essiccare. Quella polvere  doveva serviva sia  per fare l’ingobbio necessario a  ricoprire l’intero vaso sia  per la vernice della decorazione. Ogni volta che compiva questa operazione Kleitias pensava che quella era una ricetta dono degli dei: in che altro modo si poteva spiegare la trasformazione che avveniva in cottura?
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Finalmente Il vaso era arrivato al giusto punto di essicazione: durezza cuoio. Kleitias si mise all’opera; per prima cosa pennellò
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l’intera superficie con la vernice che aveva preparato . Uno strato sottilissimo che in cottura avrebbe dato quel magnifico colore rosso che solo quella laboriosa preparazione poteva generare. Poi si dedicò alla decorazione vera e propria.
Doveva dare il massimo. Con  la sua pittura bisognava ingraziarsi tutti gli dei  dell’Olimpo
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se voleva ottenere l’immortalità.  E fu con particolare cura che disegnò il volto di colei che, prima fra tutte le muse, poteva ispirarlo in quest’ opera grandiosa. Incise poi i contorni delle figure  con linee sottilissime, per scoprire l’argilla sottostante; colorò gli interni con la patina  che aveva preparato il giorno prima, aggiunse qualche
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tocco di argilla depurata  per i bianchi e qualche pennellata di argilla ocra per i fiammeggianti gialli.
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Guardò la sua opera: non c’erano errori.  Era soddisfatto, anche se la magia che avrebbe trasformato le sue pennellate, in lucenti rossi e neri doveva ancora compiersi.
Incise i nomi degli autori due volte per essere sicuro che di loro sarebbe rimasta imperitura memoria.
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“Ergòtimos m’epòiesen”   “Kleitìas m’ègrafsen”.
Chiamò Ergotimos e vasaio e pittore trasportarono l’opera in  prossimità del forno. Non lasciarono che alcuno li aiutasse in questo lavoro.
Il forno era composto da un tunnel che precedeva il focolare e sul
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focolare c’era al camera di cottura a pianta circolare. Sul pavimento  della camera c’erano fori per favorire la fuoriuscita dei prodotti di combustione e sulla cupola, che la ricopriva, il camino, che serviva all’uscita dei gas di scarico.
Con il cuore in gola, i due artisti posero l’opera nella camera del forno e chiusero la porta. Ergotimos  iniziò la difficilissima operazione di cottura: una monocottura in tre  delicate
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fasi.
Il ceramista sapeva che il segreto era la giusta quantità d’aria. Si apprestò quindi a farla  entrare attraverso il focolare. La fiamma vivace avrebbe investito il vaso e tutta la superficie si sarebbe colorata di un rosso corallo.
Ora iniziava la fase delicata di tutto il processo. Doveva impedire all’aria di ravvivare la fiamma. I gas di combustione dovevano compiere la loro opera  e trasformare il rosso corallo in nero lucente. Doveva dosare bene tempi e calore per permettere alle figure dipinte di impossessarsi del nero definitivamente.
Ecco , l’esperienza gli suggeriva che ora poteva far rientrare l’aria e il miracolo si sarebbe ancora una volta compiuto.
La cottura era terminata. Bisognava far raffreddare lentamente e solo dopo  si sarebbe capito se fosse davvero nato un capolavoro, il loro capolavoro.
Era giunto il momento. Gli artisti si guardavano con timore e sospetto: forse Kleitias aveva commesso errori, forse Ergotimos aveva messo a rischio la nascita di un’ opera immortale?
Infine eccolo: bastò un’occhiata per capire che quello che avevano creato era ancora più bello di ogni loro aspettativa. Calliope, la prima delle muse, li guardava dritti negli occhi
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con uno  sguardo e un sorriso per nulla  stereotipati. Anzi, erano pronti a giurare di aver colto un lampo di complicità nell’ occhio della dea.
Si abbracciarono  e lasciarono che il loro capolavoro prendesse la via del mare

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3 novembre1844
Alessandro Francois, scopre  a fonte Rotella nei pressi di chiusi i frammenti di un cratere dipinto di grandi dimensioni. questi vennero affidati al restauratore Giovanni Gualberto Franceschi che, nel rimontare il vaso, ne constatò la mancanza di più di un terzo.
21 aprile 1845
Alessandro François riprende lo scavo, trovando nuovi frammenti, l’inserimento dei quali comportò un nuovo intervento di restauro.
Quello che venne alla luce era un  cratere a volute attico a figure nere, alto 66 cm; con una circonferenza di 181cm, particolarmente notevole per la ricca decorazione figurata accompagnata da iscrizioni relative a personaggi e oggetti: fra queste spiccano i nomi degli artisti che realizzarono il vaso, il ceramista Ergótimos, creatore della forma, e il ceramografo Kleitías che lo dipinse. Sulla sua superficie sono rappresentate scene e divinità della mitologia greca, tra cui il matrimonio di Peleo e Teti, e  futuri genitori di Achille, e la morte di quest’ultimo, oltre a storie di Teseo e altri eroi. Fra gli dei dell’Olimpo spiccano le Muse e in particolare Calliope ritratta di fronte e con in mano un flauto di Pan. Il vaso venne collocato nel  Regio Museo Archeologico di Firenze

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9 settembre 1900
Un custode del museo, furioso con un collega per dissensi sul servizio, lanciò uno sgabello contro la vetrina che conteneva il cratere, riducendolo in ben 638 frammenti.
Il direttore del Regio Museo Archeologico di Firenze, Luigi Adriano Milani, ,  incaricò del restauro il  conservatore del Museo Pietro Zei, il quale lo ricompose in due lunghi anni di lavoro, rendendolo “…più bello e, nell’effetto estrinseco, più completo di prima”: il restauratore apportò infatti numerose correzioni e aggiunte eliminando i dislivelli e le irregolarità che erano presenti sulla superficie del vaso dopo il restauro eseguito dal Franceschi.

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5 dicembre 2011
Da Repubblica
“Il Vaso François in un dvd il mito diventa cartoon. Il documentario animato presentato al Museo archeologico fiorentino. E’ il più grande cratere attico a figure nere esistente al mondo. Il video, della durata di 43 minuti, mescola la tecnica classica del documentario a quella, innovativa, dell’animazione in 3D. Accompagnate da una voce fuori campo, le figure dipinte sul vaso si staccano dallo sfondo per diventare personaggi animati come quelli di un cartone, dando ai miti raccontati, a cominciare da quello delle nozze di Peleo e Teti, la veste di un film di animazione

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Il  vaso François  è collocato  al II piano del Museo Archeologico Nazionale di Firenze nella sala 11. Accanto al cratere, completamente restaurato, i visitatori possono ammirare anche lo sgabello, ricordo della vicenda passata.

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Bibliografia

Emiliani,Corbara- Tecnologia ceramica- Faenza 1999

http://www.archeologicatoscana.it/il-vaso-francois-scoperta-e-restauro-di-un-capolavoro-della-ceramica-attica/


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