da qui
Cosimo è in preda al panico: catapultatosi fuori dalla macchina, cerca di farsi largo tra la folla assiepata intorno al corpo di Amerigo. Riesce a stento a vederne il volto pallido, il rivolo di sangue che scorre dalla tempia verso il grigio scuro dell’asfalto. Gli occhi si affrettano come animali braccati fra l’edicola, la folla e l’uomo steso a terra. Nel cicaleccio, s’indovina ogni tanto una parola: incosciente, distratto, limite di velocità, ambulanza, polizia. Cerca di aggrapparsi agli argomenti che sembrano metterlo in una luce favorevole: come poteva immaginare che il pedone avrebbe attraversato la strada senza verificare il sopraggiungere di un’auto? Nella mente agitata i pensieri si affollano senza un ordine preciso, passato e presente si confondono lasciando emergere immagini incongrue o incompatibili, come l’enorme sala dell’Auditorium Parco della Musica, dove ieri ha assistito al Requiem di Mozart diretto da Pollini. Le note del Dies Irae demoliscono i tentativi superstiti di giustificazione, come se il giorno del giudizio fosse oggi e lui si trovasse davanti al Padreterno, a testa bassa, in attesa del verdetto. Accenna a distrarsi, lanciando un’occhiata di traverso alle ante in vetro dell’edicola, ma riesce solo a scorgere copertine sfocate, titoli illeggibili, mentre il Rex tremendae majestatis si abbatte sulla sua già scarsa resistenza con le voci tonanti di bassi, baritoni, contralti. Si volta sulla destra e scopre una costruzione simile in tutto a un’astronave, con sette piloni a reggere un ovale, culminante in una specie di tronco mozzato con due campane di diverse dimensioni: una chiesa! Per un istante, gli pare che il perdono lo raggiunga inaspettatamente in mezzo alla folla che tende ad allargarsi, a cercare sbocco nell’ampio parcheggio ancora più a sinistra, fino ai locali al piano terra della palazzina rosa: il bar, la pizzeria, il centro di bellezza. Sta per cambiare umore, miracolosamente, ma lo investe la potenza irresistibile del Confutatis maledictis, e solo allora comprende che nessuno potrà tirarlo fuori dalla morsa, proprio ora che si era illuso di toccare i margini dell’oasi, l’eden della pagina scritta, il refugium peccatorum della letteratura, che custodisce – adesso ne è sicuro -l’inferno nascosto in tutto ciò che è umano.