da qui
Nel cielo azzurro le nuvole tracciano disegni delicati: una coppa di gelato al limone, un elicottero dalle eliche leggere, una figura verticale a metà fra l’antenna e lo spiedino. Sul faro bianco è appollaiata un’aquila reale orgogliosa di guardare oltre, mentre all’orizzonte i cumulonembi formano barriere insormontabili di ovatta, o di panna montata. La casa ha un tetto spiovente a tegole rosse e una facciata bianca in cui si specchia il mare. La roccia digrada su una baia in cui la schiuma ordisce ricami simili alle nubi: nani, delfini, alberi dai frutti misteriosi. Una barca lontana dalla riva sembra incerta se diventare schiuma o nuvola, come Alberto, che si affaccia alla finestra e non sa se confondere lo sguardo con l’erba verde menta del prato, il beige variegato della roccia, il velluto dell’acqua o la seta fine del cielo. Da quanto tempo è qui? Cosa è successo nelle ore che lo dividono dall’arrivo in aereo, mano nella mano con una donna dai capelli rossi e gli occhi dello stesso colore del cielo insofferente ai disegni proliferati senza un ordine, desideroso di tornare terso, cristallino, come gli occhi di Jessica Hamby, il buco nero della pupilla che scava nella roccia, diventa schiuma di ricordi, filo incerto di vita che cade dalla fronte come un ciuffo d’erbaspagna, la bocca aperta in un sorriso accogliente come la finestra da cui Alberto si sporge, sempre più perplesso? Sta tentando di ricostruire l’ultimo momento in cui ha respirato avidamente il profumo - Roberto Cavalli, Christian Dior, Dolce & Gabbana? – della ragazza dai capelli rossi che lo ha seguito fin qui, al faro tra il cielo e la scogliera, bussando alla porta della stanza a mezzanotte, sfidando il sonno e la buona educazione, accostandosi al suo corpo fragile di professore solo, incerto fra università e letteratura, tra il disegno effimero del cielo e la materia opaca della roccia, la profondità del mare e la schiuma effervescente che si getta sulla stretta spiaggia di sassi. Rientra rapidamente nella camera, assalito da un pensiero velenoso; spalanca il primo cassetto del canterano in noce, fruga sino in fondo allo spazio terribilmente vuoto: il dattiloscritto del romanzo non c’è più, come la coppa di gelato, l’elicottero dalle eliche leggere, i nani, i delfini, gli alberi dai frutti misteriosi, finiti dove neanche l’aquila orgogliosa, forse, può spingere lo sguardo.