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3/5. Politica e parole: ‘equità’

Da Angelonizza @NizzaAngelo
Da Fantozzi va in pensione

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Mentre la campagna elettorale prosegue il suo cammino verso la tornata dell’ultimo week-end del mese e, seppur soverchiati dalle beghe mediatiche su banche e tribunali, cominciano a profilarsi matrimoni politici vecchi e nuovi (Bersani e Monti e… Vendola?), continua qui la carrellata dei termini chiave che accompagnano le settimane del pre-voto. Dopo ‘riforma’ ed ‘esodati’, oggi tocca fare i conti con la parola ‘equità’. Già nel 2011, Carlo Galli su repubblica.it ne tracciò l’identikit per grandi linee. E al di là dei contorni giuridici, ‘equità’ fa il paio con la politica nella misura in cui l’amministrazione della cosa pubblica mirerebbe alla giustizia sociale. Aequus è l’aggettivo latino che sta per uguale e nell’ambito della vita in comune qualifica il sostantivo lex. Equità, insomma, è una parola che appartiene alla tradizione di partiti, movimenti e associazioni collocabili a sinistra, ma oggi va bene anche per la destra. Tutti sembrano perseguire questo lemma che sa tanto di disincarnato regolatore della prassi. Il principio dell’equità fra le parti è uno di quei concetti più impalpabili della storia. È un’astrazione, un dato esangue, un’idea, un genere sommo per dirla coi metafisici. Ma ecco il punto: l’aspirazione all’equità… alla Liberté, Égalité, Fraternité, è una moda borghese che investe sull’egalitarismo ipocrita del sistema dominante, dimenticando la carne dell’esperienza che di uguale non ha proprio nulla. Il mondo che abbiamo attorno è duale: c’è chi comanda e chi è comandato. Chi ha il potere, della produzione e della politica, e chi esegue ordini. Da qui, spunta il pensiero equo e solidale che altro non è se non l’antidoto che segue il veleno. L’equità è la maniera con cui i riformisti, cioè ormai la stragrande maggioranza dei politici, compresi i conservatori, credono di farsi i belli, sul carro dei vincitori (direbbe Benjamin), agli occhi della massa. ‘Equità’, tuttavia, è una parola che sa di antico. Che non tiene conto della post-modernità, della riorganizzazione peer-to-peer operata dalla rivoluzione tecnologica che porta con sé il germe dell’emancipazione dagli attuali rapporti di forza.



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