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4 Dicembre 1982 La Costituzione della Repubblica Popolare Cinese

Creato il 04 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

La Repubblica Popolare Cinese, dopo il trionfale risultato della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria di Mao, il 4 Dicembre 1982,  adottava la nuova Carta Costituzionale.

138 gli articoli disposti tra Preambolo, Diritti e Doveri fondamentali dei cittadini, Organismi Statali, Bandiera, Inno Nazionale e Emblema. Nel complesso strutturale la Carta non si discosta da Mao o dai suoi principi pur non facendo mai cenno alla Grande Rivoluzione e, inoltre, essendo dichiaratamente ispirata alla Costituzione Sovietica del 1936. Utilizzando i canoni sovietici sia in materia di struttura economica sia in materia di sviluppo, la Costituzione Cinese reinterpreta i concetti sulla base delle tradizioni e del pensiero di Mao, dando vita ad un particolare documento che pone l’accento ora sulle intoccabili libertà del cittadino, ora sui divieti al popolo. Sono state messe in atto diverse revisioni, di cui l’ultima nel 2004, tutte volte alla modifica di norme per agevolare la partecipazione della Cina a Organizzazioni Internazionali o il suo coinvolgimento in operazioni umanitarie e soprattutto alla distensione dei rapporti con gli Stati occidentali, attenti al riconoscimento dei diritti sociali e umanitari.

Link al testo della costituzione

È stata inoltre formalmente sancita l’introduzione della proprietà privata. Sarà lo Stato stesso ad assumersi il compito di tutelare questo diritto inviolabile e i relativi diritti di successione, contemplando anche l’esproprio e la requisizione per pubblica utilità da parte dello Stato. Sulla base di queste ed altre ‘modernizzazioni’ – scienza e tecnologia, agricoltura, industria e difesa nazionale – la Cina sta compiendo un cammino considerato da molti come diretto verso un “costituzionalismo transnazionale”, che seppur scritto sulle idee di una razionalità globale ha scarsi risultati applicativi, probabilmente a causa di un retaggio culturale di profondissime radici.

Se l’articolo 35 della Carta dell’82 recita: “i cittadini della Repubblica Popolare Cinese godono di libertà di parola, di stampa, di riunione, associazione, corteo e dimostrazione”, lo stesso fino al 1978 continuava garantendo i diritti allo sciopero, ad avere un’opinione, ad esprimerla, a tenere dibattiti e a produrre dazibao (come dei libelli). Omissione questa, anzi, cancellazione di una parte dell’articolo che trova anche riscontro nel nuovo articolo 53, che impone il rispetto della legge e dell’ordine pubblico, a cominciare dal divieto al popolo di riunirsi in sciopero, dibattere, criticare il Partito e fondare movimenti politici, pratiche e attività queste, rese illegali. I passi in avanti che la Repubblica Popolare Cinese dichiara di compiere sono delle semplici normative politiche che poco hanno di attuativo, di democratico o di liberale. L’introduzione di diritti reali nella conservazione di principi tradizionali e all’interno di un processo di crescita, rapido abbastanza da aver posto la Cina come seconda potenza economica al mondo nel giro di pochi anni, ha comportato una situazione totalmente squilibrata. Amnesty International &Co. ritengono la Cina responsabile di crimini contro i suoi stessi cittadini, di violazione dei diritti umani nei confronti di minoranze o dissidenti, (vedi l’occupazione armata del Tibet) di criminali limitazioni alla libertà di informazione, religiosa, di parola e finanche di movimento o genitoriale. Le organizzazioni umanitarie hanno definito repressivo e illegale l’obbligo all’aborto conseguente alla Politica del Figlio Unico che ha visto anche perpetrare violenze sui cosiddetti ‘ribelli’ delle zone povere e periferiche, alle loro donne e alle neonate bimbe alle quali, quando non venivano assassinate, è stata negata la registrazione all’anagrafe ergo la negazione di diritti politici, all’istruzione o sanità. La RPC, sostanzialmente, non ha introdotto nessuna legge che tuteli la reale libertà del cittadino e del popolo, seppur riformando, tagliando e scopiazzando qui e là dai sistemi politici più intransigenti. All’interno della Repubblica Popolare Cinese vige la pena capitale e Amnesty International ha documentato un totale di 68 crimini che la RPC ritiene punibili con la morte, tra i quali: appropriazione indebita, evasione fiscale, traffico di droga e incasso di tangenti.

Quasi si è costretti a dare ragione al docente di Diritto dell’Università di Pechino, ammettendo dunque che il ‘Chinese Dream’ è un salto nel vuoto destinato al fallimento, in quanto è semplicemente impossibile trovare un appiglio che stia a metà tra la tradizione culturale cinese e la mentalità occidentale.

Photo credit: Thomas Fisher Rare Book Library / Foter / CC BY

Photo credit: Thomas Fisher Rare Book Library / Foter / CC BY

Tags:4 dicembre 1982,amnesty international,carta costituzionale,Cina,costituzione cinese,mao tse-tung,repubblica popolare cinese,rivoluzione cinese,RPC

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