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42. Così dolci

Creato il 25 ottobre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su ottobre 25, 2011

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Dovrei parlare di una cosa che ha fatto molto discutere, a quei tempi.
Quando il primo uomo mise piede sulla luna.
Ormai gli idranti erano all’ordine del giorno, camminavi dentro i getti come in mezzo al diluvio universale; poi, se ti prendevano di mira, non riuscivi a stare in piedi, vacillavi, cadevi, qualcuno ti allacciava da dietro e ti tirava su, cercando un angolo dove non potessero arrivare. Colpivano anche alberi, animali, come se tutta la creazione dovesse essere soggetta al loro potere senza limiti. Se eri nell’onda non vedevi nulla, e allora venivano pensieri senza senso, di quand’eri ragazzo e tuo padre t’innaffiava col tubo dell’acqua perché stavi chiacchierando mentre lui metteva in ordine il giardino.
Fu una mossa sbagliata, dissero, John Fitzgerald Kennedy non era che un opportunista.
Questo definì una generazione con l’inizio del nuovo millennio.
Pensi anche che ci sono persone nate per essere travolte dal diluvio, gente abituata a confrontarsi con ostacoli quasi insormontabili, che lotta da quando si sveglia a quando si addormenta. Se sei in questa situazione, pensi, è perché qualcuno ha paura, è infastidito dalla tua presenza e comprendi che la vita sarà sempre così, non ci sarà mai un momento di riposo.
Era contro i negri, dissero, soltanto per i voti si schierava dalla nostra parte, sperava di vincere l’handicap di essere cattolico.
Dobbiamo affrontare una sfida più grande.
Non ti dico, poi, quando agli idranti si aggiungevano i cani: ti aggredivano ringhiando, con la bava che colava da un lato della bocca. Dietro di loro, i poliziotti con i manganelli erano pronti a intervenire, nel caso che le bestie non fossero abbastanza ostili. Gli altri guardavano: i negri con ansia, i bianchi divertiti per lo spettacolo gratuito.
In realtà avevamo entrambi un interesse nell’accordo; se la causa fosse stata perorata dal presidente degli Stati Uniti – capisci? – sarebbe stata tutta un’altra cosa.
I cambiamenti climatici minacciano la nostra stessa esistenza.
C’è da stupirsi se cominciarono a reagire, a imbracciare le armi, in modo sporadico, certo, subito represso, ma come si poteva andare avanti con le camicie bianche che si sentivano in diritto di picchiare duro perché il nero sembrava cancellare i lineamenti del tuo volto, perché non eri un uomo e tutti dovevano saperlo? Se potessi scriverti una lettera, o uomo bianco, quali parole ti aspetteresti di trovare?
Poi, si sa, la politica è politica: ce l’avrebbe fatta, senza di noi, a entrare nella Casa Bianca, l’ex marinaio di Boston?
Quali altri disastri convinceranno i leader del mondo che le attuali tecnologie che sfruttano le energie rinnovabili offrono l’ultima speranza per un futuro sostenibile?
Per quanto tempo avremmo potuto sopportare di entrare dal retro dei locali, come i cani legati al palo mentre il padrone fa acquisti nel negozio? Qualcosa ti ribolle nello stomaco, ma ti hanno insegnato che è normale, che è stato sempre così, come se ciò che è stato potesse essere il criterio nei secoli dei secoli; non sarà che tocca a te, che tocca proprio a te dire signori, adesso basta, oggi comincia un’altra musica?
Fu così che s’incrociarono i destini, come dovessimo approdare entrambi nello stesso posto, il marinaio e il reverendo, partendo da molto lontano, come si preparasse misteriosamente, per noi, la stessa fine.
Parole vuote, decisioni senza spina dorsale hanno fallito. Ora è il tempo di una rivoluzione energetica. Guarderemo negli occhi i nostri bambini dicendo loro che avevamo la possibilità ma ci è mancato il coraggio? Guarderemo negli occhi i nostri bambini dicendo loro che avevamo la tecnologia ma ci è mancata la visione? Oppure guarderemo negli occhi i nostri bambini e diremo loro che abbiamo affrontato la sfida e che ci siamo battuti, ci siamo battuti per la rivoluzione energetica!
La ragazza piange, non ho mai visto due occhi così dolci.


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