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43. Kenegdo

Creato il 26 ottobre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su ottobre 26, 2011

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Il Concilio, per me, significava incontro: con chi la Chiesa si rifiutava di parlare, con quelli messi al bando che, notoriamente, nel vangelo sono sempre i più vicini.
Si avvicinò allo scranno quasi in fretta, per timore di ripensarci o di essere fermato. Era robusto, un po’ rotondo, e la rapidità stonava con le forme in eccesso che suscitavano un sorriso. Ma ci fu poco da ridere per il regime.
Come spiegheresti la formula Chiesa unita, ma non assorbita? Fu il frutto di quel primo strappo ritrovarsi nella stessa stanza, dove il motto bene in evidenza era Ubi Petrus, ibi ecclesia, che aveva fatto collocare all’uopo, per evitare equivoci insidiosi.
Non ho mai capito i pregiudizi, che già nella parola hanno qualcosa di arrogante: pensare di sapere chi sia l’altro prima di guardarlo, occhi negli occhi, kenegdo, com’è scritto nel libro della Genesi.
Cosa avrebbe detto davanti ai quattro microfoni, lucidi e lunghi, che parevano i cavalieri dell’Apocalisse? La storia si fermò per un istante, il tempo di raggiungere la postazione, sistemare i fogli, cercare il tono giusto per la voce.
Tutto era cominciato tanto tempo prima, nelle sale sfarzose e cupe della reggia, imbottite di pelle e ori dentro una struttura in legno massiccio.
La Curia continuò a tremare, no, a fremere di rabbia: trapelava dai volti irrigiditi, le sopracciglia inarcate, la linea della bocca pendente verso il basso. Se ci ripenso, mi chiedo come ho fatto a sfidare le falangi serrate dei tradizionalisti - Angelino, è ora di tornare! Aspetta, mamma, ancora un po’!
Insomma il congresso era sospeso sopra il nulla, si capiva che non sarebbe stato uno dei soliti discorsi, che qualcosa d’importante, decisivo, stava per succedere. Nikita, Nikita, quando la finirai di farmi disperare!
Aveva preparato bene il suo progetto: una flotta militare senza uguali, un commercio mondiale di cui diventò padrone incontrastato.
Mi venne in mente un valzer: inchini, entrate e uscite, sorrisi di prammatica; e la gente intorno che ti scruta, indovini ogni moto segreto della folla, il lampo dell’invidia, la scintilla dell’ammirazione, il fulmine della gelosia.
Cominciò a scaldarsi quasi subito; alzo la mano a pugno e la vorticava scandendo le parole, guardando a destra e a sinistra, con regolarità.
Riuscì a sbaragliare ogni concorrenza; anche la Spagna s’inchinò alla sua potenza, che non era solo militare, ma anche industriale, commerciale, come se tutto quello che toccava diventasse oro.
Non si resiste al valzer, avete mai provato? E’ come una corrente che s’insinua nella pelle, i muscoli, le ossa, un flusso che attraversa la sala e sembra concentrarsi tutto nello stesso punto.
Agitava il pugno in alto e in basso, e intanto l’idolo della dittatura diventava sempre più improbabile, man mano che lui ne rivelava le nefandezze nascoste, i crimini efferati – Nikita, Nikita, dove vai?
Ormai non ha rivali, è il più grande di tutti, anche per numero di mogli: Caterina, Anna Bolena, che finì decapitata, Jane Seymour, morta dopo il parto dell’erede, Anna di Cléves, con cui non consumò, l’altra Caterina.
E tra ventagli, sorrisi, occhiate di traverso, oscillano leggeri come se il mondo fosse un’altalena accarezzata dall’Ostro o dal Levante.
Smascherò tutti i misfatti, le infamie, le illegalità, gli eccidi di gente inerme, le deportazioni in massa, il culto della personalità – fermati, Nikita, ti fai male!
Prima o poi si sarebbe scontrato con la Chiesa, per le mogli, i divorzi, i nuovi matrimoni; fu allora che firmò l’atto di supremazia che pesa ancora oggi, in queste stanze, che fa sembrare assurdo che io stia parlando da uomo a uomo, occhi negli occhi, con l’arcivescovo Geoffrey Fischer di Canterbury.
Oscillano, vorticano, hanno preso slancio, mentre gli sguardi ammiccano, sbirciano, custodiscono ognuno un desiderio, una stizza, una traccia fragile di malinconia.


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